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IL COMMENTO - Maurizio de Giovanni: "Siamo tifosi, la squadra non merita fischi"
22.10.2016 12:36 di Napoli Magazine Fonte: Maurizio de Giovanni per il Corriere del Mezzogiorno

Siamo tifosi, noi. E quindi non giornalisti esperti di statistica, in grado di misurare con percentuali e grafici l’andamento di una partita. Tifosi, non psicanalisti: e quindi non conosciamo i reconditi motivi di una depressione, di un calo di autostima o di un’ansia da prestazione. Solo tifosi: non acuti ex calciatori o tecnici, gente di campo che conosce l’odore dell’erba o il colore della paura, e quindi sono depositari della verità rivelata.

 

Siamo piccoli spaventati tifosi, e quindi alla fine della partita coi turchi eravamo avviliti per la terza sconfitta consecutiva, incavolati per lo scellerato passaggio di Jorginho, per il rigore sbagliato di Insigne, per le mancate uscite di Reina. E la notte che avevamo davanti ci sembrava lunga e spaventosa, piena di incubi e privata di qualsiasi sogno.

 

Poi però abbiamo fatto un pensiero, e in questo pensiero abbiamo trovato un insperato conforto. Per cui lo vogliamo condividere, nella sua semplicità. Sarri ha detto, nel concitato doposconfitta: la colpa è delle aspettative. Delle etichette che ci hanno appiccicato. Il tecnico di Figline è un uomo di grande intelligenza e profonda cultura, al di là dell’aspetto trasandato e dimesso che ostenta come uno smoking. Che voleva dire? Forse nient’altro che quanto segue. Facendo un passo indietro e riguadagnando un minimo di obiettività, consideriamo il Napoli e quello che è in realtà. Primo: il Napoli si autofinanzia. Non è l’ammennicolo societario e divertente di una multinazionale industriale di cui rappresenta poco più di una divertente appendice; non è di proprietà di un oscuro e ricchissimo gruppo cinese, di un ricchissimo sceicco o di un magnate russo dell’energia. E’ di proprietà di un valido imprenditore, che giustamente vuole guadagnare dalla sua impresa. Il fatturato deve quindi incorporare l’integralità dei costi e ottenere degli ulteriori ricavi, come ogni impresa privata. Secondo: il Napoli non ha proprietà. Non ha lo stadio, e gioca in un fatiscente impianto di proprietà pubblica. Non ha strutture e si allena in impianti in locazione, non ha una sede, non ha assets immobiliari. Non ha una foresteria per le squadre giovanili, non ha un complesso di campi e di palestre. Niente Vinovo, Formello, Trigoria, Milanello, Appiano Gentile.

 

Terzo: lo staff tecnico del Napoli, ivi compresi allenatore e direttore sportivo, è formato da professionisti di immenso valore ma dei quali, fino a tre anni fa, nessuno aveva mai sentito parlare. Non trainer dal nutrito palmarès, cittadini del mondo pallonaro e vincitori di coppe internazionali, ma sani conoscitori del calcio di provincia che mai avevano annusato, fino ad ora, territori stranieri grondanti storia e titoli. Quarto: il Napoli non ha fuoriclasse. Ne aveva uno e l’ha venduto, come è costretto a fare ogni qualvolta ne ha uno. Sia perché di fronte a certe cifre, per le ragioni di cui sopra, è obbligato a farlo; sia perché il fuoriclasse vuole vincere qui e ora, e raramente si adatta a lunghi processi di crescita tecnica dal nebbioso esito. Ha buoni calciatori, alcuni buonissimi, ma un motivo per cui un giocatore costa 90 milioni e un altro 15 esiste, e prima o poi si vede. Quinto: il Napoli è una squadra giovane, basata sui giovani, costruita sui giovani. Che saranno fortissimi, che sono affamati, che sono pieni di ambizioni: ma che per loro natura daranno frutti nel futuro e non nell’immediato, e che vanno impiegati con attenzione e non caricati di responsabilità. E se se ne infortuna uno, non ce n’è un altro pronto all’uso e di pari valore. Almeno non sempre.

 

Questo oggi, obiettivamente, ci sembra essere il quadro realistico della nostra squadra. E in quest’ottica c’è da essere assolutamente felici di essere ancora in testa al girone di Champions e di essere in piena lotta per una piazza d’onore in campionato che sarebbe, ancora una volta, un mezzo miracolo. E il tifoso torni a fare il tifoso, cioè a sostenere i ragazzi senza se e senza ma, guardandosi bene dal fischiare le maglie azzurre come solo un idiota oggi può permettersi di fare. Il tifoso dimentica subito la sconfitta e va in campo per la prossima vittoria. Subito.

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IL COMMENTO - Maurizio de Giovanni: "Siamo tifosi, la squadra non merita fischi"

di Napoli Magazine

22/10/2024 - 12:36

Siamo tifosi, noi. E quindi non giornalisti esperti di statistica, in grado di misurare con percentuali e grafici l’andamento di una partita. Tifosi, non psicanalisti: e quindi non conosciamo i reconditi motivi di una depressione, di un calo di autostima o di un’ansia da prestazione. Solo tifosi: non acuti ex calciatori o tecnici, gente di campo che conosce l’odore dell’erba o il colore della paura, e quindi sono depositari della verità rivelata.

 

Siamo piccoli spaventati tifosi, e quindi alla fine della partita coi turchi eravamo avviliti per la terza sconfitta consecutiva, incavolati per lo scellerato passaggio di Jorginho, per il rigore sbagliato di Insigne, per le mancate uscite di Reina. E la notte che avevamo davanti ci sembrava lunga e spaventosa, piena di incubi e privata di qualsiasi sogno.

 

Poi però abbiamo fatto un pensiero, e in questo pensiero abbiamo trovato un insperato conforto. Per cui lo vogliamo condividere, nella sua semplicità. Sarri ha detto, nel concitato doposconfitta: la colpa è delle aspettative. Delle etichette che ci hanno appiccicato. Il tecnico di Figline è un uomo di grande intelligenza e profonda cultura, al di là dell’aspetto trasandato e dimesso che ostenta come uno smoking. Che voleva dire? Forse nient’altro che quanto segue. Facendo un passo indietro e riguadagnando un minimo di obiettività, consideriamo il Napoli e quello che è in realtà. Primo: il Napoli si autofinanzia. Non è l’ammennicolo societario e divertente di una multinazionale industriale di cui rappresenta poco più di una divertente appendice; non è di proprietà di un oscuro e ricchissimo gruppo cinese, di un ricchissimo sceicco o di un magnate russo dell’energia. E’ di proprietà di un valido imprenditore, che giustamente vuole guadagnare dalla sua impresa. Il fatturato deve quindi incorporare l’integralità dei costi e ottenere degli ulteriori ricavi, come ogni impresa privata. Secondo: il Napoli non ha proprietà. Non ha lo stadio, e gioca in un fatiscente impianto di proprietà pubblica. Non ha strutture e si allena in impianti in locazione, non ha una sede, non ha assets immobiliari. Non ha una foresteria per le squadre giovanili, non ha un complesso di campi e di palestre. Niente Vinovo, Formello, Trigoria, Milanello, Appiano Gentile.

 

Terzo: lo staff tecnico del Napoli, ivi compresi allenatore e direttore sportivo, è formato da professionisti di immenso valore ma dei quali, fino a tre anni fa, nessuno aveva mai sentito parlare. Non trainer dal nutrito palmarès, cittadini del mondo pallonaro e vincitori di coppe internazionali, ma sani conoscitori del calcio di provincia che mai avevano annusato, fino ad ora, territori stranieri grondanti storia e titoli. Quarto: il Napoli non ha fuoriclasse. Ne aveva uno e l’ha venduto, come è costretto a fare ogni qualvolta ne ha uno. Sia perché di fronte a certe cifre, per le ragioni di cui sopra, è obbligato a farlo; sia perché il fuoriclasse vuole vincere qui e ora, e raramente si adatta a lunghi processi di crescita tecnica dal nebbioso esito. Ha buoni calciatori, alcuni buonissimi, ma un motivo per cui un giocatore costa 90 milioni e un altro 15 esiste, e prima o poi si vede. Quinto: il Napoli è una squadra giovane, basata sui giovani, costruita sui giovani. Che saranno fortissimi, che sono affamati, che sono pieni di ambizioni: ma che per loro natura daranno frutti nel futuro e non nell’immediato, e che vanno impiegati con attenzione e non caricati di responsabilità. E se se ne infortuna uno, non ce n’è un altro pronto all’uso e di pari valore. Almeno non sempre.

 

Questo oggi, obiettivamente, ci sembra essere il quadro realistico della nostra squadra. E in quest’ottica c’è da essere assolutamente felici di essere ancora in testa al girone di Champions e di essere in piena lotta per una piazza d’onore in campionato che sarebbe, ancora una volta, un mezzo miracolo. E il tifoso torni a fare il tifoso, cioè a sostenere i ragazzi senza se e senza ma, guardandosi bene dal fischiare le maglie azzurre come solo un idiota oggi può permettersi di fare. Il tifoso dimentica subito la sconfitta e va in campo per la prossima vittoria. Subito.

Fonte: Maurizio de Giovanni per il Corriere del Mezzogiorno