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PREMIUM - Nove-Storie di Bomber, Careca: "Napoli, Maradona e lo scudetto: un sogno"
27.04.2017 23:46 di Napoli Magazine Fonte: premiumsporthd.it

Gli inizi in Brasile, la formidabile esperienza a Napoli, il finale di carriera in Giappone. Sempre con il gol a fare da colonna sonora. Antonio Careca, uno dei più grandi giocatori che abbiano mai militato in Serie A, si racconta a Nove - Storie di Bomber, intervistato da David Trezeguet.



LA PRIMA IMPRESA - "La mia storia è cominciata al Guaranì: vincemmo il Brasilerao battendo l'Internacional Porto Alegre di Falcao, il Vasco di Roberto Dinamite, il Flamengo di Junior e Zico, i giornali parlavano poco di noi ma quello che abbiamo fatto accade una volta ogni cento anni". Infatti è l'unico titolo vinto dal Guaranì nella sua storia, con 13 gol in 28 partite di Careca: "Il più importante della mia carriera", assicura lui. "Ma uno scudetto a Napoli ne vale 10 altrove", aggiunge.



IL PRIMO VIAGGIO - "Quasi tutti i miei amici in Brasile non ci credevano che partissi per l'Italia: a me piaceva uscire con gli amici e fare festa. Mi dicevano: "Vai lì, stai un mese e torni indietro". Ma per me era un sogno giocare con Maradona: ne parlammo anche con Diego nell'86, poi arrivai dopo un anno. Ricordo che i tifosi erano pazzi per i giocatori, non potevi uscire, neppure portare i bambini a scuola, andavo a Soccavo a fare allenamento e tornavo a casa, era una cosa pesante ma positiva: E poi ero al fianco del numero uno. All'inizio, però, nel ritiro di Madonna di Campiglio Diego non c'era. E io pensai "Cacchio...". Poi non capivo la lingua, c'era un interprete, ma lui era esperto di opera, di musica. Non capiva niente di calcio e metteva in discissione quello che diceva Bianchi. Io gli dissi 'Traduci e basta'. In Serie A il difensore più duro era Vierchowod, non si stancava mai. Ma anche Brio e Pasquale Bruno che menava".



LUI E DIEGO - "La velocità che aveva, la visione di gioco: pensai 'Devo migliorare tantissimo altrimenti faccio una figuraccia'. Quando giochi con il migliore, non puoi arrivare dove è lui, ma devi avvicinarti. Lui neanche mi guardava in campo, era tutto automatico. Maradona aveva la palestra in garage e lavorava sui muscoli, veniva una o due volte a settimana ad allenarsi con la squadra: lui non ne aveva bisogno, doveva solo giocare. Sapevamo che la domenica veniva e decideva le partite. Il rispetto per la sua leadership era enorme, Spesso faceva le infiltrazioni per giocare e poteva stare a casa. A Stoccarda c'erano 30mila napoletani, non so come sono arrivati, a piedi, in treno, in aereo: abbiamo fatto la festa a casa loro. Io avevo 40 di febbre, Ferlaino arrivò e non mi salutò neppure. Mi disse solo: "Tu devi giocare", volevo mandarlo a quel paese". 



IL GIAPPONE - "Sono arrivato lì e c'erano 600 persone allo stadio: all'allenamento uno aveva il pantaloncino nero, uno rosso, uno giallo. Poi dovevi sistemarti la tua roba nello spogliatoio e i giocatori fumavano e bevevano birra. Quando hanno imparato la disciplina, siamo andati in Serie A e abbiamo mandato 5-6 giocatori in nazionale. 



IL BRASILE DI OGGI - "C'è pressione anche da parte dei genitori: un ragazzo di 11-12 anni prende 10mila euro al mese. Io sono arrivato in Italia a 26 anni, ora arrivano in Europa a 13 anni. È un peccato: un bambino deve andare a scuola e divertirsi". 

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PREMIUM - Nove-Storie di Bomber, Careca: "Napoli, Maradona e lo scudetto: un sogno"

di Napoli Magazine

27/04/2024 - 23:46

Gli inizi in Brasile, la formidabile esperienza a Napoli, il finale di carriera in Giappone. Sempre con il gol a fare da colonna sonora. Antonio Careca, uno dei più grandi giocatori che abbiano mai militato in Serie A, si racconta a Nove - Storie di Bomber, intervistato da David Trezeguet.



LA PRIMA IMPRESA - "La mia storia è cominciata al Guaranì: vincemmo il Brasilerao battendo l'Internacional Porto Alegre di Falcao, il Vasco di Roberto Dinamite, il Flamengo di Junior e Zico, i giornali parlavano poco di noi ma quello che abbiamo fatto accade una volta ogni cento anni". Infatti è l'unico titolo vinto dal Guaranì nella sua storia, con 13 gol in 28 partite di Careca: "Il più importante della mia carriera", assicura lui. "Ma uno scudetto a Napoli ne vale 10 altrove", aggiunge.



IL PRIMO VIAGGIO - "Quasi tutti i miei amici in Brasile non ci credevano che partissi per l'Italia: a me piaceva uscire con gli amici e fare festa. Mi dicevano: "Vai lì, stai un mese e torni indietro". Ma per me era un sogno giocare con Maradona: ne parlammo anche con Diego nell'86, poi arrivai dopo un anno. Ricordo che i tifosi erano pazzi per i giocatori, non potevi uscire, neppure portare i bambini a scuola, andavo a Soccavo a fare allenamento e tornavo a casa, era una cosa pesante ma positiva: E poi ero al fianco del numero uno. All'inizio, però, nel ritiro di Madonna di Campiglio Diego non c'era. E io pensai "Cacchio...". Poi non capivo la lingua, c'era un interprete, ma lui era esperto di opera, di musica. Non capiva niente di calcio e metteva in discissione quello che diceva Bianchi. Io gli dissi 'Traduci e basta'. In Serie A il difensore più duro era Vierchowod, non si stancava mai. Ma anche Brio e Pasquale Bruno che menava".



LUI E DIEGO - "La velocità che aveva, la visione di gioco: pensai 'Devo migliorare tantissimo altrimenti faccio una figuraccia'. Quando giochi con il migliore, non puoi arrivare dove è lui, ma devi avvicinarti. Lui neanche mi guardava in campo, era tutto automatico. Maradona aveva la palestra in garage e lavorava sui muscoli, veniva una o due volte a settimana ad allenarsi con la squadra: lui non ne aveva bisogno, doveva solo giocare. Sapevamo che la domenica veniva e decideva le partite. Il rispetto per la sua leadership era enorme, Spesso faceva le infiltrazioni per giocare e poteva stare a casa. A Stoccarda c'erano 30mila napoletani, non so come sono arrivati, a piedi, in treno, in aereo: abbiamo fatto la festa a casa loro. Io avevo 40 di febbre, Ferlaino arrivò e non mi salutò neppure. Mi disse solo: "Tu devi giocare", volevo mandarlo a quel paese". 



IL GIAPPONE - "Sono arrivato lì e c'erano 600 persone allo stadio: all'allenamento uno aveva il pantaloncino nero, uno rosso, uno giallo. Poi dovevi sistemarti la tua roba nello spogliatoio e i giocatori fumavano e bevevano birra. Quando hanno imparato la disciplina, siamo andati in Serie A e abbiamo mandato 5-6 giocatori in nazionale. 



IL BRASILE DI OGGI - "C'è pressione anche da parte dei genitori: un ragazzo di 11-12 anni prende 10mila euro al mese. Io sono arrivato in Italia a 26 anni, ora arrivano in Europa a 13 anni. È un peccato: un bambino deve andare a scuola e divertirsi". 

Fonte: premiumsporthd.it