Attualità
A ROMA - Presentata presso la Camera dei Deputati la Relazione annuale sull’attività svolta dalla COVIP nel 2022
07.06.2023 11:16 di Napoli Magazine

Si è tenuta oggi a Roma presso la Camera dei Deputati la presentazione della Relazione annuale sull’attività svolta dalla COVIP nel 2022.

 

Oltre a illustrare lo stato dei settori vigilati (fondi pensione e casse di previdenza) – le cui risorse sono complessivamente pari a circa 313 miliardi di euro riguardando oltre 12 milioni di soggetti tra iscritti e pensionati – la Presidente facente funzione della COVIP, Francesca Balzani, si è soffermata sulle prospettive evolutive di tali settori.

 

 

I FONDI PENSIONE

 

L’offerta

 

Alla fine del 2022, i fondi pensione in Italia sono 332: 33 fondi negoziali, 40 fondi aperti, 68 piani individuali pensionistici (PIP) e 191 fondi pensione preesistenti.

Il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è in costante riduzione. Oltre venti anni fa, nel 1999, le forme erano 739, oltre il doppio.

 

Gli iscritti e le adesioni

 

 A fine 2022, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 9,2 milioni, in crescita del 5,4% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 36,2% sul totale delle forze di lavoro.

I fondi negoziali contano 3,7 milioni di iscritti, quasi 1,8 milioni sono gli iscritti ai fondi aperti e 3,5 milioni ai PIP “nuovi”; circa 650.000 sono gli iscritti ai fondi preesistenti.

Gli uomini sono il 61,8% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73% nei fondi negoziali), nel solco di quel gender gap che si è già manifestato negli anni scorsi. Si conferma anche un gap generazionale: la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 48,9% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 32,3% ha almeno 55 anni e solo il 18,8% è sotto i 35 anni. La situazione è sostanzialmente non dissimile da quella rilevata cinque anni fa.

Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57,1%).

 

Risorse, contributi e prestazioni

 

Alla fine del 2022, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 205,6 miliardi di euro, in calo del 3,6% rispetto all’anno precedente a causa dell’andamento negativo dei mercati finanziariun ammontare pari al 10,8% del PIL e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.

I contributi incassati nell’anno sono pari a circa 18,2 miliardi di euro. In tutte le forme pensionistiche complementari il flusso di contributi del 2022 è risultato in crescita rispetto al 2021: ne sono affluiti 6,1 miliardi ai fondi negoziali (+4,6%), 2,8 miliardi ai fondi aperti (+7,8%), 5 miliardi ai PIP (+2,4%) e 4,1 miliardi ai fondi preesistenti (+1,5%).

Gli iscritti che nell’anno 2022 hanno effettuato o comunque ricevuto contribuzioni sulle proprie posizioni sono circa 6,7 milioni, pari a circa i tre quarti del totale. I loro contributi ammontano mediamente a 2.770 euro.

Gli iscritti non versanti (o per i quali comunque non sono stati effettuati versamenti), pari a circa 2,5 milioni, sono più frequentemente presenti nelle forme di mercato e tra i lavoratori autonomi. Una parte cospicua è però anche costituita da lavoratori dipendenti iscritti a fondi pensione negoziali con modalità contrattuale, con particolare riguardo ad ambiti, come il settore edile, il cui bacino è caratterizzato da elevata discontinuità occupazionale.

Le voci di uscita per la gestione previdenziale ammontano a 11,2 miliardi di euro. Le prestazioni pensionistiche sono state erogate in capitale per 4,6 miliardi di euro e in rendita per 440 milioni di euro. I riscatti sono pari a 2 miliardi di euro e le anticipazioni a 2,3 miliardi di euro. Nell’anno sono stati erogati circa 1,6 miliardi di euro di rendite integrative temporanee anticipate (RITA), per lo più concentrati nei fondi pensione preesistenti.

 

L’allocazione degli investimenti

 

 L’allocazione degli investimenti effettuati dai fondi pensione (escluse le riserve matematiche presso imprese di assicurazione e i fondi interni) registra la prevalenza della quota in obbligazioni governative e altri titoli di debito, per il 54,6% del patrimonio: il 15,4% sono titoli del debito pubblico italiano.

In calo al 20% i titoli di capitale (rispetto al 22,6% del 2021) e anche le quote di OICR, passate dal 16 al 15,3%. I depositi si attestano al 6,5%.

Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, rappresentano circa l’1,9% del patrimonio, sostanzialmente stabili rispetto al 2021.

Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana (titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) è di 35,5 miliardi di europari al 20,9% del patrimonio, in calo sia in valore assoluto sia in termini percentuali rispetto al 2021 (rispettivamente, 40 miliardi e 22,7%). I titoli di Stato ne rappresentano la quota maggiore attestandosi a quota 26,1 miliardi di euro.

Gli impieghi in titoli di imprese domestiche rimangono contenuti, riflettendo anche le limitate dimensioni del mercato azionario nazionale. Il totale di 4,1 miliardi è meno del 3% delle attività: in obbligazioni sono investiti 2,6 miliardi, in azioni 1,5 miliardi; gli investimenti domestici detenuti attraverso quote di OICVM si attestano a 1,8 miliardi. Gli investimenti immobiliari in Italia risultano pari a circa 2,8 miliardi.

 

I rendimenti e i costi

 

Le turbolenze dei mercati finanziari hanno inciso sui risultati di gestione delle forme complementari, tanto per le linee di investimento a maggiore contenuto azionario quanto per quelle obbligazionarie.

I comparti azionari hanno registrato perdite in media pari all’11,7% nei fondi negoziali, al 12,5 nei fondi aperti e al 13,2 nei PIP. Per le linee bilanciate i rendimenti medi sono stati negativi in tutte le forme pensionistiche: 10,5% nei fondi negoziali, 11,5 nei fondi aperti e 12,3 nei PIP.

Di importo non molto inferiore sono anche le perdite subite nell’anno dai comparti obbligazionari. Gli obbligazionari misti hanno perso il 10,3% nei fondi negoziali, il 7,6% nei fondi aperti; gli obbligazionari puri hanno registrato perdite del 3,5% nei fondi negoziali e del 10,9% nei fondi aperti.

Una corretta valutazione della redditività del risparmio previdenziale non può tuttavia limitarsi ai rendimenti di un solo anno, ma deve fare riferimento a orizzonti più lunghi e coerenti con i vincoli temporali che a esso si applicano in ragione degli obiettivi perseguiti.

Su un periodo di osservazione decennale (da fine 2012 a fine 2022)i rendimenti medi annui composti delle linee a maggiore contenuto azionario si collocano, per tutte le tipologie di forme pensionistiche, tra il 4,7% e il 4,9%.Viceversa, le linee obbligazionarie mostrano rendimenti medi vicini allo zero; le linee bilanciate rendimenti medi che vanno dall’1,7% dei PIP di tipo unit linked al 2,7% dei fondi negoziali, al 2,9% dei fondi aperti. Il tasso di rivalutazione medio annuo del TFR è stato pari al 2,4%.

Oltre all’asset allocation adottata, alle differenze di rendimento tra le forme contribuiscono anche i divari nei livelli di costo. Per i fondi pensione negoziali, su un orizzonte temporale di dieci anni, l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) è pari allo 0,47%. Per i fondi pensione aperti, esso è dell’1,35%. Per i PIP, lo stesso indicatore è in media del 2,17%.

Per le forme negoziali, il livello più contenuto dei costi dipende anche dalla dimensione dei fondi per effetto delle economie di scala generate dalla ripartizione degli oneri amministrativi. Per le forme di mercato, invece, incide presumibilmente la remunerazione delle reti di vendita.

 

L’attività di vigilanza

 

Nel 2022 le iniziative di vigilanza volte a verificare situazioni potenzialmente suscettibili di intervento sui diversi aspetti della gestione dei fondi pensione sono state oltre 1.800, cui hanno fatto seguito oltre 250 interventi correttivi o autorizzativi. 

La metà degli interventi ha riguardato gli assetti ordinamentali; l’altra metà è riferibile a profili di governance, di trasparenza, finanziari e attuariali. La complessiva azione di vigilanza è stata rivolta prevalentemente alla verifica delle modalità con le quali i fondi pensione hanno recepito le disposizioni introdotte dalla normativa primaria e da quella secondaria emanata dalla COVIP in attuazione della Direttiva IORP II.

Anche le verifiche in materia di trasparenza delle forme pensionistiche complementari hanno costituito un importante profilo di attenzione da parte dell’Autorità, al fine di consentire agli iscritti di avere la piena consapevolezza delle proprie scelte sia in fase di adesione sia nel corso del rapporto di partecipazione.

Notevole rilievo continua ad assumere il “Comparatore dei costi delle forme pensionistiche complementari, disponibile sul sito COVIP, grazie al quale è possibile un più immediato e fruibile confronto tra i costi delle diverse forme pensionistiche.

Nel 2022 sono state condotte verifiche trasversali in relazione alle novità introdotte con le istruzioni emanate dalla COVIP che hanno riguardato i documenti informativi e l’area pubblica dei siti web.

In particolare, è stata avviata l’analisi sui contenuti delle aree riservate dei siti web delle forme pensionistiche. L’indagine ha riguardato non solo la completezza dell’informazione, ma anche la chiarezza della e le modalità di interazione offerte agli iscritti.

Le analisi evidenziano inoltre un quadro nel quale circa un quarto delle forme pensionistiche, nel presentarsi sul mercato, dichiara di adottare politiche di investimento che promuovono fattori di sostenibilità.

La COVIP ha inoltre posto particolare attenzione al meccanismo del life-cycle nel mercato previdenziale italiano, in continuità con le analisi svolte negli anni precedenti sulle linee garantite offerte dalle diverse tipologie di forme pensionistiche, nella prospettiva di disporre di un quadro completo circa le diverse modalità di funzionamento di tali percorsi. Tale meccanismo consente di modificare in modo automatico l’investimento al variare dell’età, prevedendo un’esposizione in titoli azionari più elevata in età più giovane che si riduce progressivamente con l’avvicinarsi al pensionamento. Dall’analisi effettuata è emerso uno scenario di scarsa diffusione nel sistema di previdenza complementare italiano di tali meccanismi, che risultano introdotti da circa il 30% dei fondi pensione di nuova istituzione.

Sotto il profilo finanziario, nel corso del 2022 è stata avviata l’analisi dei processi e dei presìdi di controllo messi in atto dai fondi pensione al fine di garantire l’adeguata gestione dei rischi finanziari, nel più articolato quadro di riferimento previsto dalla Direttiva IORP II.

Una parte significativa delle attività ha poi riguardato la conduzione del primo esercizio di stress test sul rischio climatico su un campione di fondi pensione, svolto sulla base delle indicazioni fornite dall’EIOPA. Esso ha consentito di acquisire alcune valutazioni in merito alla resilienza e potenziale vulnerabilità dei fondi pensione di fronte a uno scenario avverso di tipo climatico.

Di particolare rilievo è stata anche nel 2022 l’attività riguardante le operazioni di razionalizzazione, concentrazione e liquidazione delle forme pensionistiche complementari. Tali operazioni sono motivate principalmente dall’esigenza di adeguare la configurazione del sistema di previdenza complementare all’evoluzione dei gruppi societari, raggiungendo così assetti dimensionali più consistenti. Le operazioni di razionalizzazione hanno principalmente interessato, come negli anni precedenti, i fondi pensione preesistenti, in particolare quelli di riferimento di gruppi bancari e assicurativi.

Nel 2022 è ripresa con regolarità l’attività ispettiva in loco in considerazione del complessivo miglioramento degli scenari di rischio derivante dal Covid-19, e il conseguente allentamento delle misure restrittive imposte dal Governo.

 

LE CASSE DI PREVIDENZA 

 

 Dal 2011, in forza dell’esperienza maturata nel contiguo settore dei fondi pensione, la COVIP vigila anche sugli investimenti delle casse di previdenza, in un assetto articolato di controlli in cui l’Autorità opera in raccordo con i Ministeri del Lavoro e dell’Economia, cui spetta la verifica della complessiva stabilità degli enti.

Sull’assetto regolamentare degli investimenti delle casse di previdenza, è intervenuta la Legge di bilancio per l’anno 2023prevedendo che entro il 30 giugno 2023 i Ministeri vigilanti, sentita la COVIP, definiscano norme di indirizzo nelle materie di investimento delle risorse finanziarie delle casse, di conflitti di interesse e di depositario, oltre che in tema di informazione nei confronti degli iscritti e di obblighi relativamente alla governance degli investimenti e alla gestione del rischio. È altresì previsto che entro sei mesi dall’adozione di tali norme di indirizzo le casse di previdenza adottino disposizioni attuative tramite regolamenti interni.

Pur nell’incompletezza del quadro normativo di riferimento, la COVIP ha comunque svolto in questi anni le proprie funzioni di controllo sugli investimenti delle casse di previdenza, trasmettendo dettagliati referti ai Ministeri vigilanti e svolgendo diversi approfondimenti, anche a seguito di richieste dei Ministeri stessi, su specifici aspetti della gestione finanziaria di ciascuna delle 20 casse, anche attraverso iniziative di carattere ispettivo.

I dati e le informazioni acquisiti nell’ambito della propria attività consentono alla COVIP di disporre di un patrimonio informativo di cui l’Autorità dà annualmente conto mettendo a disposizione, anche per il tramite del proprio sito web, il Quadro di Sintesi sugli aspetti più significativi emersi dalle rilevazioni effettuate.

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Alla fine del 2021, le attività complessivamente detenute dalle casse di previdenza ammontano, a valori di mercato, a 107,9 miliardi di euro, in aumento di 7,2 miliardi rispetto all’anno precedente (7,1%). Dal 2011 al 2021 tali attività sono cresciute complessivamente di 52,2 miliardi di euro, pari al 93,7%.

Tenendo conto anche delle componenti obbligazionaria e azionaria sottostanti gli OICVM detenuti, la quota più rilevante delle attività è costituita da titoli di debito, pari a 39,5 miliardi di euro (corrispondenti al 36,6% del totale).

La composizione delle attività detenute continua a caratterizzarsi per la cospicua presenza di investimenti immobiliari, che nel complesso (cespiti di proprietà, fondi immobiliari e partecipazioni in società immobiliari controllate) si attestano a 20 miliardi di euro (18,3% del totale). Nel quinquennio 2017-2021 l’incidenza di tale componente è comunque diminuita di 4,5 punti percentuali.

Gli investimenti nell’economia italiana (titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) ammontano a 40 miliardi di euro, pari al 34,3% delle attività totali di cui la componente immobiliare ammonta a 18,6 miliardi.

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Le prospettive evolutive dei settori vigilati

 

Dopo un biennio nel quale, a seguito della pandemia, l’economia mondiale aveva già attraversato situazioni di grande difficoltà, nell’anno 2022 le condizioni di criticità dello scenario globale si sono di nuovo acuite, con l’invasione russa dell’Ucraina, l’aggravarsi delle tensioni geopolitiche, l’impatto sugli approvvigionamenti energetici e sulle catene del valore e conseguentemente sui prezzi dei beni e servizi. Per evitare un ulteriore inasprimento delle spinte inflazionistiche le banche centrali hanno proceduto a ripetuti rialzi dei tassi di riferimento, concludendo la lunga fase di politiche monetarie accomodanti.

Ne hanno risentito i mercati finanziari le cui condizioni sono rimaste tese per tutto il 2022: i corsi dei titoli azionari hanno subìto pesanti ribassi così come quelli dei titoli obbligazionari per effetto del rialzo dei tassi di interesse nominali.

In questo scenario, il sistema italiano della previdenza complementare ha complessivamente mostrato una sostanziale resistenza. Le adesioni e le contribuzioni sono cresciute come negli anni precedenti e, pur considerando le perdite del 2022, i rendimenti, valutati in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e facendo riferimento alle medie generali relative a tutti i comparti, rimangono in media positivi, e sostanzialmente in linea con i tassi di rivalutazione del TFR.

La resilienza dimostrata dal sistema della previdenza complementare, tuttavia, non può distogliere l’attenzione dai fattori strutturali che, nel nostro Paese, renderebbero quanto mai necessario un suo consistente ulteriore sviluppo ma che, al contempo, lo rendono oltremodo difficile.

La sostanziale stabilità dei flussi di nuovi iscritti e di contributi anche a fronte degli eventi avversi sopra ricordati ha confermato il fondamentale dualismo del sistema. Esso, infatti, accoglie prevalentemente uomini, di età matura, residenti nel Nord del Paese, inseriti in imprese ragionevolmente solide e in grado di dare continuità ai flussi di finanziamento. Donne, giovani, lavoratori del Sud del Paese continuano invece a essere meno presenti. Ciò significa che proprio le figure meno forti, per le quali sarebbe più pressante la necessità di un futuro previdenziale più solido fanno più fatica a entrare nel mondo della previdenza complementare.

D’altra parte, non può non tenersi conto dell’elevato livello di contribuzione al primo pilastro pensionistico nel nostro Paese. Nel confronto internazionale, nei paesi dove la previdenza di base ha un ruolo e una dimensione maggiore – misurata in termini di aliquote contributive obbligatorie a fini previdenziali applicate sulla retribuzione da lavoro dipendente – il sistema privato – misurato dall’attivo in percentuale del PIL – risulta tendenzialmente meno sviluppato; viceversa, laddove il sistema pensionistico pubblico svolge un ruolo più circoscritto, il sistema privato assume più spesso dimensioni significative.

Nelle prospettive di lungo periodo, tuttavia, è la demografia che si impone come principale fattore strutturale di condizionamento. Il nostro Paese è caratterizzato da un processo di invecchiamento tra i più rapidi a livello internazionale; tale tendenza demografica è destinata a incidere significativamente sulle prospettive di crescita del Paese in termini di prodotto complessivo, che è anche alla base della rivalutazione nel tempo dei contributi versati alla previdenza pubblica. Sono i giovani a rischiare di essere penalizzati, in quanto sono proprio tra le categorie di lavoratori che fanno più fatica a partecipare ai fondi pensione che, verosimilmente, potrebbero garantire loro rendimenti più elevati della rivalutazione che è ragionevole attendersi dai contributi versati alla previdenza pubblica.

A fronte di tali tendenze strutturali, non favorevoli alle prospettive di sviluppo della previdenza complementare, vi sono tuttavia interventi che il decisore politico può prendere.

Andrebbe innanzitutto considerato il ruolo di interventi mirati sul sistema degli incentivi all’adesione e alla contribuzione per agevolare, in particolare, l’inclusione nel sistema previdenziale delle fasce più deboli di lavoratori e per raggiungere una maggiore equità intergenerazionale. In questa prospettiva, l’innalzamento del limite di deducibilità appare strumento poco incisivo considerando che solo i lavoratori delle fasce di reddito più elevate sono in grado di dedurre i contributi fino al limite massimo (pari a circa 5.164,57 euro, escluso il TFR indirizzato alla previdenza complementare, quando invece il contributo medio è di 2.770 euro).

La crescente incidenza di carriere discontinue e frammentate, spesso accompagnate da curve salariali piatte, evidenzia che chi più avrebbe bisogno di un’integrazione del reddito pensionistico è meno in grado di partecipare alla previdenza complementare. In questo contesto gli attuali incentivi fiscali andrebbero rimodulati in funzione del reddito degli iscritti, eventualmente prevedendo un intervento diretto dello Stato a sostegno di determinate categorie, e in particolare dei più giovani.

Andrebbe inoltre valorizzata la possibilità – oggi prevista solo nella fase di ingresso nel mercato del lavoro – di riportare in anni successivi la deducibilità dei contributi non goduta in un determinato periodo di imposta.

Ulteriori indicazioni di riforma che vanno nella direzione giusta sono presenti nella delega di riforma del sistema fiscale, che contiene elementi di attenzione sia per i fondi pensione sia per le casse di previdenza.

Altri interventi di tipo non finanziario potrebbero riguardare il disegno del sistema previdenziale.

Per esempio, pur osservando che i rendimenti di lungo periodo delle linee azionarie di tutte le tipologie di forme pensionistiche hanno realizzato rendimenti soddisfacenti, tali linee sono poco diffuse tra gli iscritti, anche tra quelli più giovani, che avrebbero un orizzonte temporale in grado di assorbire eventuali fasi di mercato negative.

Nella prospettiva di disegnare meccanismi di indirizzo delle scelte il più possibile efficaci, andrebbe rivista la linea di default che accoglie gli iscritti silenti basandola sull’approccio life-cycle, che sfrutti il lungo orizzonte temporale dell’investimento previdenziale tramite un’esposizione iniziale più elevata nei titoli azionari, caratterizzati da maggiore volatilità ma pure da rendimenti attesi più elevati, e una progressiva riduzione di tale esposizione via via che si avvicina il pensionamento. Ciò anche in coerenza con le raccomandazioni dell’OCSE in materia.

I possibili interventi sopra delineati, e in particolare la rimodulazione dei benefici fiscali a favore dei lavoratori più deboli e la diffusione di opzioni di investimento di tipo life-cycle da definire come default, sarebbero essenziali anche nella prospettiva di riproporre una nuova iniziativa nazionale di raccolta delle adesioni tramite meccanismi di silenzio-assenso. In tale occasione, andrebbero effettuate campagne informative e di educazione previdenziale ben strutturate e coerenti con il disegno complessivo dei meccanismi di scelta proposti.

Altro tema, in relazione al quale il disegno degli schemi pensionistici assume rilievo, è quello della fase di erogazione delle prestazioni previdenziali, una volta raggiunta l’età di pensionamento. Potrebbe essere esplorata la possibilità di porre in essere iniziative utili a favorire la proposta di prestazioni previdenziali che almeno in parte contribuiscano, diversamente dalla mera erogazione del capitale accumulato, alla mitigazione del rischio di longevità. In particolare, in alternativa totale o parziale alle rendite vitalizie immediate, potrebbero essere considerate erogazioni programmate in cifra fissa, ovvero rendite vitalizie differite a partire solo da un’età molto avanzata.

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A ROMA - Presentata presso la Camera dei Deputati la Relazione annuale sull’attività svolta dalla COVIP nel 2022

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07/06/2024 - 11:16

Si è tenuta oggi a Roma presso la Camera dei Deputati la presentazione della Relazione annuale sull’attività svolta dalla COVIP nel 2022.

 

Oltre a illustrare lo stato dei settori vigilati (fondi pensione e casse di previdenza) – le cui risorse sono complessivamente pari a circa 313 miliardi di euro riguardando oltre 12 milioni di soggetti tra iscritti e pensionati – la Presidente facente funzione della COVIP, Francesca Balzani, si è soffermata sulle prospettive evolutive di tali settori.

 

 

I FONDI PENSIONE

 

L’offerta

 

Alla fine del 2022, i fondi pensione in Italia sono 332: 33 fondi negoziali, 40 fondi aperti, 68 piani individuali pensionistici (PIP) e 191 fondi pensione preesistenti.

Il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è in costante riduzione. Oltre venti anni fa, nel 1999, le forme erano 739, oltre il doppio.

 

Gli iscritti e le adesioni

 

 A fine 2022, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è di 9,2 milioni, in crescita del 5,4% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 36,2% sul totale delle forze di lavoro.

I fondi negoziali contano 3,7 milioni di iscritti, quasi 1,8 milioni sono gli iscritti ai fondi aperti e 3,5 milioni ai PIP “nuovi”; circa 650.000 sono gli iscritti ai fondi preesistenti.

Gli uomini sono il 61,8% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73% nei fondi negoziali), nel solco di quel gender gap che si è già manifestato negli anni scorsi. Si conferma anche un gap generazionale: la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 48,9% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 32,3% ha almeno 55 anni e solo il 18,8% è sotto i 35 anni. La situazione è sostanzialmente non dissimile da quella rilevata cinque anni fa.

Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (57,1%).

 

Risorse, contributi e prestazioni

 

Alla fine del 2022, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 205,6 miliardi di euro, in calo del 3,6% rispetto all’anno precedente a causa dell’andamento negativo dei mercati finanziariun ammontare pari al 10,8% del PIL e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.

I contributi incassati nell’anno sono pari a circa 18,2 miliardi di euro. In tutte le forme pensionistiche complementari il flusso di contributi del 2022 è risultato in crescita rispetto al 2021: ne sono affluiti 6,1 miliardi ai fondi negoziali (+4,6%), 2,8 miliardi ai fondi aperti (+7,8%), 5 miliardi ai PIP (+2,4%) e 4,1 miliardi ai fondi preesistenti (+1,5%).

Gli iscritti che nell’anno 2022 hanno effettuato o comunque ricevuto contribuzioni sulle proprie posizioni sono circa 6,7 milioni, pari a circa i tre quarti del totale. I loro contributi ammontano mediamente a 2.770 euro.

Gli iscritti non versanti (o per i quali comunque non sono stati effettuati versamenti), pari a circa 2,5 milioni, sono più frequentemente presenti nelle forme di mercato e tra i lavoratori autonomi. Una parte cospicua è però anche costituita da lavoratori dipendenti iscritti a fondi pensione negoziali con modalità contrattuale, con particolare riguardo ad ambiti, come il settore edile, il cui bacino è caratterizzato da elevata discontinuità occupazionale.

Le voci di uscita per la gestione previdenziale ammontano a 11,2 miliardi di euro. Le prestazioni pensionistiche sono state erogate in capitale per 4,6 miliardi di euro e in rendita per 440 milioni di euro. I riscatti sono pari a 2 miliardi di euro e le anticipazioni a 2,3 miliardi di euro. Nell’anno sono stati erogati circa 1,6 miliardi di euro di rendite integrative temporanee anticipate (RITA), per lo più concentrati nei fondi pensione preesistenti.

 

L’allocazione degli investimenti

 

 L’allocazione degli investimenti effettuati dai fondi pensione (escluse le riserve matematiche presso imprese di assicurazione e i fondi interni) registra la prevalenza della quota in obbligazioni governative e altri titoli di debito, per il 54,6% del patrimonio: il 15,4% sono titoli del debito pubblico italiano.

In calo al 20% i titoli di capitale (rispetto al 22,6% del 2021) e anche le quote di OICR, passate dal 16 al 15,3%. I depositi si attestano al 6,5%.

Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, rappresentano circa l’1,9% del patrimonio, sostanzialmente stabili rispetto al 2021.

Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana (titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) è di 35,5 miliardi di europari al 20,9% del patrimonio, in calo sia in valore assoluto sia in termini percentuali rispetto al 2021 (rispettivamente, 40 miliardi e 22,7%). I titoli di Stato ne rappresentano la quota maggiore attestandosi a quota 26,1 miliardi di euro.

Gli impieghi in titoli di imprese domestiche rimangono contenuti, riflettendo anche le limitate dimensioni del mercato azionario nazionale. Il totale di 4,1 miliardi è meno del 3% delle attività: in obbligazioni sono investiti 2,6 miliardi, in azioni 1,5 miliardi; gli investimenti domestici detenuti attraverso quote di OICVM si attestano a 1,8 miliardi. Gli investimenti immobiliari in Italia risultano pari a circa 2,8 miliardi.

 

I rendimenti e i costi

 

Le turbolenze dei mercati finanziari hanno inciso sui risultati di gestione delle forme complementari, tanto per le linee di investimento a maggiore contenuto azionario quanto per quelle obbligazionarie.

I comparti azionari hanno registrato perdite in media pari all’11,7% nei fondi negoziali, al 12,5 nei fondi aperti e al 13,2 nei PIP. Per le linee bilanciate i rendimenti medi sono stati negativi in tutte le forme pensionistiche: 10,5% nei fondi negoziali, 11,5 nei fondi aperti e 12,3 nei PIP.

Di importo non molto inferiore sono anche le perdite subite nell’anno dai comparti obbligazionari. Gli obbligazionari misti hanno perso il 10,3% nei fondi negoziali, il 7,6% nei fondi aperti; gli obbligazionari puri hanno registrato perdite del 3,5% nei fondi negoziali e del 10,9% nei fondi aperti.

Una corretta valutazione della redditività del risparmio previdenziale non può tuttavia limitarsi ai rendimenti di un solo anno, ma deve fare riferimento a orizzonti più lunghi e coerenti con i vincoli temporali che a esso si applicano in ragione degli obiettivi perseguiti.

Su un periodo di osservazione decennale (da fine 2012 a fine 2022)i rendimenti medi annui composti delle linee a maggiore contenuto azionario si collocano, per tutte le tipologie di forme pensionistiche, tra il 4,7% e il 4,9%.Viceversa, le linee obbligazionarie mostrano rendimenti medi vicini allo zero; le linee bilanciate rendimenti medi che vanno dall’1,7% dei PIP di tipo unit linked al 2,7% dei fondi negoziali, al 2,9% dei fondi aperti. Il tasso di rivalutazione medio annuo del TFR è stato pari al 2,4%.

Oltre all’asset allocation adottata, alle differenze di rendimento tra le forme contribuiscono anche i divari nei livelli di costo. Per i fondi pensione negoziali, su un orizzonte temporale di dieci anni, l’Indicatore Sintetico dei Costi (ISC) è pari allo 0,47%. Per i fondi pensione aperti, esso è dell’1,35%. Per i PIP, lo stesso indicatore è in media del 2,17%.

Per le forme negoziali, il livello più contenuto dei costi dipende anche dalla dimensione dei fondi per effetto delle economie di scala generate dalla ripartizione degli oneri amministrativi. Per le forme di mercato, invece, incide presumibilmente la remunerazione delle reti di vendita.

 

L’attività di vigilanza

 

Nel 2022 le iniziative di vigilanza volte a verificare situazioni potenzialmente suscettibili di intervento sui diversi aspetti della gestione dei fondi pensione sono state oltre 1.800, cui hanno fatto seguito oltre 250 interventi correttivi o autorizzativi. 

La metà degli interventi ha riguardato gli assetti ordinamentali; l’altra metà è riferibile a profili di governance, di trasparenza, finanziari e attuariali. La complessiva azione di vigilanza è stata rivolta prevalentemente alla verifica delle modalità con le quali i fondi pensione hanno recepito le disposizioni introdotte dalla normativa primaria e da quella secondaria emanata dalla COVIP in attuazione della Direttiva IORP II.

Anche le verifiche in materia di trasparenza delle forme pensionistiche complementari hanno costituito un importante profilo di attenzione da parte dell’Autorità, al fine di consentire agli iscritti di avere la piena consapevolezza delle proprie scelte sia in fase di adesione sia nel corso del rapporto di partecipazione.

Notevole rilievo continua ad assumere il “Comparatore dei costi delle forme pensionistiche complementari, disponibile sul sito COVIP, grazie al quale è possibile un più immediato e fruibile confronto tra i costi delle diverse forme pensionistiche.

Nel 2022 sono state condotte verifiche trasversali in relazione alle novità introdotte con le istruzioni emanate dalla COVIP che hanno riguardato i documenti informativi e l’area pubblica dei siti web.

In particolare, è stata avviata l’analisi sui contenuti delle aree riservate dei siti web delle forme pensionistiche. L’indagine ha riguardato non solo la completezza dell’informazione, ma anche la chiarezza della e le modalità di interazione offerte agli iscritti.

Le analisi evidenziano inoltre un quadro nel quale circa un quarto delle forme pensionistiche, nel presentarsi sul mercato, dichiara di adottare politiche di investimento che promuovono fattori di sostenibilità.

La COVIP ha inoltre posto particolare attenzione al meccanismo del life-cycle nel mercato previdenziale italiano, in continuità con le analisi svolte negli anni precedenti sulle linee garantite offerte dalle diverse tipologie di forme pensionistiche, nella prospettiva di disporre di un quadro completo circa le diverse modalità di funzionamento di tali percorsi. Tale meccanismo consente di modificare in modo automatico l’investimento al variare dell’età, prevedendo un’esposizione in titoli azionari più elevata in età più giovane che si riduce progressivamente con l’avvicinarsi al pensionamento. Dall’analisi effettuata è emerso uno scenario di scarsa diffusione nel sistema di previdenza complementare italiano di tali meccanismi, che risultano introdotti da circa il 30% dei fondi pensione di nuova istituzione.

Sotto il profilo finanziario, nel corso del 2022 è stata avviata l’analisi dei processi e dei presìdi di controllo messi in atto dai fondi pensione al fine di garantire l’adeguata gestione dei rischi finanziari, nel più articolato quadro di riferimento previsto dalla Direttiva IORP II.

Una parte significativa delle attività ha poi riguardato la conduzione del primo esercizio di stress test sul rischio climatico su un campione di fondi pensione, svolto sulla base delle indicazioni fornite dall’EIOPA. Esso ha consentito di acquisire alcune valutazioni in merito alla resilienza e potenziale vulnerabilità dei fondi pensione di fronte a uno scenario avverso di tipo climatico.

Di particolare rilievo è stata anche nel 2022 l’attività riguardante le operazioni di razionalizzazione, concentrazione e liquidazione delle forme pensionistiche complementari. Tali operazioni sono motivate principalmente dall’esigenza di adeguare la configurazione del sistema di previdenza complementare all’evoluzione dei gruppi societari, raggiungendo così assetti dimensionali più consistenti. Le operazioni di razionalizzazione hanno principalmente interessato, come negli anni precedenti, i fondi pensione preesistenti, in particolare quelli di riferimento di gruppi bancari e assicurativi.

Nel 2022 è ripresa con regolarità l’attività ispettiva in loco in considerazione del complessivo miglioramento degli scenari di rischio derivante dal Covid-19, e il conseguente allentamento delle misure restrittive imposte dal Governo.

 

LE CASSE DI PREVIDENZA 

 

 Dal 2011, in forza dell’esperienza maturata nel contiguo settore dei fondi pensione, la COVIP vigila anche sugli investimenti delle casse di previdenza, in un assetto articolato di controlli in cui l’Autorità opera in raccordo con i Ministeri del Lavoro e dell’Economia, cui spetta la verifica della complessiva stabilità degli enti.

Sull’assetto regolamentare degli investimenti delle casse di previdenza, è intervenuta la Legge di bilancio per l’anno 2023prevedendo che entro il 30 giugno 2023 i Ministeri vigilanti, sentita la COVIP, definiscano norme di indirizzo nelle materie di investimento delle risorse finanziarie delle casse, di conflitti di interesse e di depositario, oltre che in tema di informazione nei confronti degli iscritti e di obblighi relativamente alla governance degli investimenti e alla gestione del rischio. È altresì previsto che entro sei mesi dall’adozione di tali norme di indirizzo le casse di previdenza adottino disposizioni attuative tramite regolamenti interni.

Pur nell’incompletezza del quadro normativo di riferimento, la COVIP ha comunque svolto in questi anni le proprie funzioni di controllo sugli investimenti delle casse di previdenza, trasmettendo dettagliati referti ai Ministeri vigilanti e svolgendo diversi approfondimenti, anche a seguito di richieste dei Ministeri stessi, su specifici aspetti della gestione finanziaria di ciascuna delle 20 casse, anche attraverso iniziative di carattere ispettivo.

I dati e le informazioni acquisiti nell’ambito della propria attività consentono alla COVIP di disporre di un patrimonio informativo di cui l’Autorità dà annualmente conto mettendo a disposizione, anche per il tramite del proprio sito web, il Quadro di Sintesi sugli aspetti più significativi emersi dalle rilevazioni effettuate.

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Alla fine del 2021, le attività complessivamente detenute dalle casse di previdenza ammontano, a valori di mercato, a 107,9 miliardi di euro, in aumento di 7,2 miliardi rispetto all’anno precedente (7,1%). Dal 2011 al 2021 tali attività sono cresciute complessivamente di 52,2 miliardi di euro, pari al 93,7%.

Tenendo conto anche delle componenti obbligazionaria e azionaria sottostanti gli OICVM detenuti, la quota più rilevante delle attività è costituita da titoli di debito, pari a 39,5 miliardi di euro (corrispondenti al 36,6% del totale).

La composizione delle attività detenute continua a caratterizzarsi per la cospicua presenza di investimenti immobiliari, che nel complesso (cespiti di proprietà, fondi immobiliari e partecipazioni in società immobiliari controllate) si attestano a 20 miliardi di euro (18,3% del totale). Nel quinquennio 2017-2021 l’incidenza di tale componente è comunque diminuita di 4,5 punti percentuali.

Gli investimenti nell’economia italiana (titoli emessi da soggetti residenti in Italia e immobili) ammontano a 40 miliardi di euro, pari al 34,3% delle attività totali di cui la componente immobiliare ammonta a 18,6 miliardi.

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Le prospettive evolutive dei settori vigilati

 

Dopo un biennio nel quale, a seguito della pandemia, l’economia mondiale aveva già attraversato situazioni di grande difficoltà, nell’anno 2022 le condizioni di criticità dello scenario globale si sono di nuovo acuite, con l’invasione russa dell’Ucraina, l’aggravarsi delle tensioni geopolitiche, l’impatto sugli approvvigionamenti energetici e sulle catene del valore e conseguentemente sui prezzi dei beni e servizi. Per evitare un ulteriore inasprimento delle spinte inflazionistiche le banche centrali hanno proceduto a ripetuti rialzi dei tassi di riferimento, concludendo la lunga fase di politiche monetarie accomodanti.

Ne hanno risentito i mercati finanziari le cui condizioni sono rimaste tese per tutto il 2022: i corsi dei titoli azionari hanno subìto pesanti ribassi così come quelli dei titoli obbligazionari per effetto del rialzo dei tassi di interesse nominali.

In questo scenario, il sistema italiano della previdenza complementare ha complessivamente mostrato una sostanziale resistenza. Le adesioni e le contribuzioni sono cresciute come negli anni precedenti e, pur considerando le perdite del 2022, i rendimenti, valutati in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e facendo riferimento alle medie generali relative a tutti i comparti, rimangono in media positivi, e sostanzialmente in linea con i tassi di rivalutazione del TFR.

La resilienza dimostrata dal sistema della previdenza complementare, tuttavia, non può distogliere l’attenzione dai fattori strutturali che, nel nostro Paese, renderebbero quanto mai necessario un suo consistente ulteriore sviluppo ma che, al contempo, lo rendono oltremodo difficile.

La sostanziale stabilità dei flussi di nuovi iscritti e di contributi anche a fronte degli eventi avversi sopra ricordati ha confermato il fondamentale dualismo del sistema. Esso, infatti, accoglie prevalentemente uomini, di età matura, residenti nel Nord del Paese, inseriti in imprese ragionevolmente solide e in grado di dare continuità ai flussi di finanziamento. Donne, giovani, lavoratori del Sud del Paese continuano invece a essere meno presenti. Ciò significa che proprio le figure meno forti, per le quali sarebbe più pressante la necessità di un futuro previdenziale più solido fanno più fatica a entrare nel mondo della previdenza complementare.

D’altra parte, non può non tenersi conto dell’elevato livello di contribuzione al primo pilastro pensionistico nel nostro Paese. Nel confronto internazionale, nei paesi dove la previdenza di base ha un ruolo e una dimensione maggiore – misurata in termini di aliquote contributive obbligatorie a fini previdenziali applicate sulla retribuzione da lavoro dipendente – il sistema privato – misurato dall’attivo in percentuale del PIL – risulta tendenzialmente meno sviluppato; viceversa, laddove il sistema pensionistico pubblico svolge un ruolo più circoscritto, il sistema privato assume più spesso dimensioni significative.

Nelle prospettive di lungo periodo, tuttavia, è la demografia che si impone come principale fattore strutturale di condizionamento. Il nostro Paese è caratterizzato da un processo di invecchiamento tra i più rapidi a livello internazionale; tale tendenza demografica è destinata a incidere significativamente sulle prospettive di crescita del Paese in termini di prodotto complessivo, che è anche alla base della rivalutazione nel tempo dei contributi versati alla previdenza pubblica. Sono i giovani a rischiare di essere penalizzati, in quanto sono proprio tra le categorie di lavoratori che fanno più fatica a partecipare ai fondi pensione che, verosimilmente, potrebbero garantire loro rendimenti più elevati della rivalutazione che è ragionevole attendersi dai contributi versati alla previdenza pubblica.

A fronte di tali tendenze strutturali, non favorevoli alle prospettive di sviluppo della previdenza complementare, vi sono tuttavia interventi che il decisore politico può prendere.

Andrebbe innanzitutto considerato il ruolo di interventi mirati sul sistema degli incentivi all’adesione e alla contribuzione per agevolare, in particolare, l’inclusione nel sistema previdenziale delle fasce più deboli di lavoratori e per raggiungere una maggiore equità intergenerazionale. In questa prospettiva, l’innalzamento del limite di deducibilità appare strumento poco incisivo considerando che solo i lavoratori delle fasce di reddito più elevate sono in grado di dedurre i contributi fino al limite massimo (pari a circa 5.164,57 euro, escluso il TFR indirizzato alla previdenza complementare, quando invece il contributo medio è di 2.770 euro).

La crescente incidenza di carriere discontinue e frammentate, spesso accompagnate da curve salariali piatte, evidenzia che chi più avrebbe bisogno di un’integrazione del reddito pensionistico è meno in grado di partecipare alla previdenza complementare. In questo contesto gli attuali incentivi fiscali andrebbero rimodulati in funzione del reddito degli iscritti, eventualmente prevedendo un intervento diretto dello Stato a sostegno di determinate categorie, e in particolare dei più giovani.

Andrebbe inoltre valorizzata la possibilità – oggi prevista solo nella fase di ingresso nel mercato del lavoro – di riportare in anni successivi la deducibilità dei contributi non goduta in un determinato periodo di imposta.

Ulteriori indicazioni di riforma che vanno nella direzione giusta sono presenti nella delega di riforma del sistema fiscale, che contiene elementi di attenzione sia per i fondi pensione sia per le casse di previdenza.

Altri interventi di tipo non finanziario potrebbero riguardare il disegno del sistema previdenziale.

Per esempio, pur osservando che i rendimenti di lungo periodo delle linee azionarie di tutte le tipologie di forme pensionistiche hanno realizzato rendimenti soddisfacenti, tali linee sono poco diffuse tra gli iscritti, anche tra quelli più giovani, che avrebbero un orizzonte temporale in grado di assorbire eventuali fasi di mercato negative.

Nella prospettiva di disegnare meccanismi di indirizzo delle scelte il più possibile efficaci, andrebbe rivista la linea di default che accoglie gli iscritti silenti basandola sull’approccio life-cycle, che sfrutti il lungo orizzonte temporale dell’investimento previdenziale tramite un’esposizione iniziale più elevata nei titoli azionari, caratterizzati da maggiore volatilità ma pure da rendimenti attesi più elevati, e una progressiva riduzione di tale esposizione via via che si avvicina il pensionamento. Ciò anche in coerenza con le raccomandazioni dell’OCSE in materia.

I possibili interventi sopra delineati, e in particolare la rimodulazione dei benefici fiscali a favore dei lavoratori più deboli e la diffusione di opzioni di investimento di tipo life-cycle da definire come default, sarebbero essenziali anche nella prospettiva di riproporre una nuova iniziativa nazionale di raccolta delle adesioni tramite meccanismi di silenzio-assenso. In tale occasione, andrebbero effettuate campagne informative e di educazione previdenziale ben strutturate e coerenti con il disegno complessivo dei meccanismi di scelta proposti.

Altro tema, in relazione al quale il disegno degli schemi pensionistici assume rilievo, è quello della fase di erogazione delle prestazioni previdenziali, una volta raggiunta l’età di pensionamento. Potrebbe essere esplorata la possibilità di porre in essere iniziative utili a favorire la proposta di prestazioni previdenziali che almeno in parte contribuiscano, diversamente dalla mera erogazione del capitale accumulato, alla mitigazione del rischio di longevità. In particolare, in alternativa totale o parziale alle rendite vitalizie immediate, potrebbero essere considerate erogazioni programmate in cifra fissa, ovvero rendite vitalizie differite a partire solo da un’età molto avanzata.