A “1 Football Club”, su 1 Station Radio, è intervenuto Enzo Bucchioni, giornalista e scrittore.
Direttore, visto che lei ha anche dedicato un libro a Luciano Spalletti, si aspettava questo triste epilogo? E soprattutto, come giudica il fatto che ancora oggi non sia stato individuato un commissario tecnico, o, se è stato individuato – si parla di Gattuso – perché non è stato annunciato immediatamente dopo quanto accaduto?
“No, questo è un epilogo triste, per certi versi anche ridicolo e inaccettabile per una federazione come quella italiana. Il nostro movimento calcistico è e resta uno dei più grandi al mondo, ed è stato ridotto in queste condizioni: condizione di idee pari a zero, dal punto di vista operativo e concreto. Non è soltanto la Nazionale a essere in crisi, è tutto il movimento calcistico. Gravina è il responsabile, essendo presidente della FIGC da ormai sette anni. È una situazione che porta inevitabilmente a un crollo finale. E poi che succede? Paga sempre l’allenatore. Ma io non me lo sarei aspettato. Le difficoltà si erano già viste, certo, ma qui perdiamo di vista il calcio e parliamo solo di politica sportiva. L’addio di Mancini era già stato un forte campanello d’allarme, come accaduto ad altri allenatori simili in passato: vado indietro fino a Sacchi, penso sia il capostipite. Mi ricordo le discussioni ai Mondiali del ’94 e poi agli Europei del ’96, finiti male. Parliamo di uomini di campo, che fanno fatica ad adattarsi a un lavoro come quello del commissario tecnico, dove hai due o tre giorni per lavorare con i giocatori. Spalletti non è un personaggio empatico nell’immediato, ha un carattere a volte spigoloso. Deve entrare nel gruppo in pochissimo tempo, e questo non gli è riuscito. Nemmeno il calcio proposto ha convinto. Dopo l’Europeo, Spalletti ha fatto qualcosa che non gli appartiene, cercando un equilibrio con un modulo 3-5-1-1, più conservativo, perché non ha trovato quello che cercava. È andato contro sé stesso. Lui è un allenatore che vuol far giocare a calcio le sue squadre, vuole dominare. E invece, l’ultima Nazionale era di una tristezza assoluta. Forse, dopo l’Europeo, se ci fosse stata una testa pensante in federazione, qualcuno avrebbe potuto chiamare Spalletti, dirgli: ‘Abbiamo sbagliato, ripartiamo da capo’. Invece si è portata avanti questa situazione per inerzia. Poi, il sabato, prima ancora di giocare una partita importante, arriva la decisione: via Spalletti. E allora? Hai già pronto il sostituto? Lo metti in panchina subito? Il punto più grave è stato chiedere a Spalletti di non dire nulla, di tenere tutto nascosto. Gravina, in due anni, non ha neanche capito che tipo di uomo sia Spalletti: non è uno che accetta certe cose. Infatti, al primo microfono, ha raccontato tutto, dicendo ciò che Gravina non aveva avuto il coraggio di dire poche ore prima. E ha fatto benissimo. Sono cose inaccettabili. In un mondo normale, le dimissioni sarebbero automatiche. Ma Gravina, invece, conserva sé stesso, se la prende con i giornalisti, ci chiama ‘guardoni’, come se cercare la verità fosse un reato. Quello che mi fa più rabbia è l’atteggiamento generale. Se ci fosse una stampa forte, unita, che pensa al bene del calcio italiano, ci sarebbe una sollevazione: tutti i media, tutti i giorni, dovrebbero dire ‘Gravina vattene’. Ma non succede. Questi personaggi hanno già dato. Hanno girato tutte le poltrone e rappresentano solo un centro di potere che sta distruggendo il nostro calcio. E infine, coinvolgo anche il governo. Il ministro Abodi, che conosco bene, aveva fatto sperare. È stato presidente della Serie B, conosce bene queste persone. Speravo potesse incidere. Non parlo di commissariamenti, ma almeno di un segnale. Ma neppure lui riesce a trovare una via. Questo è gravissimo".
Ieri c’è stato il “Kevin De Bruyne Day”: lo definiremmo il simbolo di una geopolitica calcistica italiana che cambia? Dove il Napoli, oggi, rappresenta un’eccellenza?
“Secondo me sì, è già cambiata la geopolitica calcistica. Negli ultimi tre anni, calcisticamente parlando, è arrivato un messaggio forte e chiaro: il Napoli c’è. Non è stato un caso isolato, non è capitato solo con Maradona o con Spalletti. No, il Napoli ha vinto due campionati consecutivi – di fatto – escludendo l’anno di transizione, e questo vuol dire che ci sono basi solide: idee, sostenibilità economica, organizzazione. Oggi Napoli è una piazza assolutamente all’altezza, se non superiore, a quelle del Nord, che hanno dominato per decenni. Il Napoli è lì, forte, chiaro, e secondo me è solo l’inizio. Perché? Perché quello che è successo in questi anni ha portato a una crescita anche economica. De Laurentiis, che tanto abbiamo criticato per la gestione familiare, ha fatto soldi veri grazie alle sue intuizioni. Penso a Kvaratskhelia, penso a Kim, a Osimhen. È uno che ha saputo comprare prima degli altri. Certo, il Napoli è cresciuto, è diventato un’industria. Ma resta una gestione familiare: lui ha fatto tutto da solo, e lo ha fatto bene. Ora può permettersi di spendere 200, forse anche 300 milioni. Non perché li ha immessi, ma perché li ha guadagnati. È all’apice del suo lavoro".
Direttore, secondo lei, la pista che porta a un grande attaccante – si è parlato di Viktor Gyökeres, ultimamente anche di Darwin Núñez – è realmente concreta per il Napoli?
“Certo, certo. Ma io aggiungo anche Kean, che ha una clausola da 52 milioni ed è molto appetibile. Ha fatto un campionato straordinario. Io ho visto tutte le sue partite: è uno dei pochi che fa reparto da solo. Quando dici ‘palla a Kean e gol’, è la sintesi brutale di ciò che può essere il calcio. Quest’anno ha fatto dei gol alla Fiorentina in quel modo: palla del portiere, lui stoppa, salta tutti e segna. Questo è Kean. Questi tre nomi mi piacciono. Ma io rimando la palla ad Antonio Conte, personaggio centrale in questo Napoli, che ormai è al livello – se non sopra – delle grandi del Nord. E allora bisogna fidarsi di Conte. L’avete visto l’anno scorso cosa ha fatto con le sue scelte, a partire da McTominay. Se ti fa prendere un giocatore, è perché ha già in mente movimenti, ruoli, incastri. Il suo calcio è come un orologio, e ogni pezzo deve incastrarsi alla perfezione. Perciò arriverà un attaccante funzionale al suo gioco. Se mi chiedi chi prenderei io, ti dico Kean piuttosto che Gyokeres o Nunez. Ma quello che sceglierà Conte sarà comunque una garanzia".
Ieri è stato il Kevin De Bruyne day: che operazione è stata?
“Dopo Cristiano Ronaldo, è il giocatore più forte arrivato in Italia negli ultimi vent’anni. Non è giovanissimo, ma nemmeno vecchio. E se fai un colpo del genere, se puoi investire su un ingaggio così importante, vuol dire che hai i conti in ordine. Hai le tasche piene".
di Napoli Magazine
13/06/2025 - 11:25
A “1 Football Club”, su 1 Station Radio, è intervenuto Enzo Bucchioni, giornalista e scrittore.
Direttore, visto che lei ha anche dedicato un libro a Luciano Spalletti, si aspettava questo triste epilogo? E soprattutto, come giudica il fatto che ancora oggi non sia stato individuato un commissario tecnico, o, se è stato individuato – si parla di Gattuso – perché non è stato annunciato immediatamente dopo quanto accaduto?
“No, questo è un epilogo triste, per certi versi anche ridicolo e inaccettabile per una federazione come quella italiana. Il nostro movimento calcistico è e resta uno dei più grandi al mondo, ed è stato ridotto in queste condizioni: condizione di idee pari a zero, dal punto di vista operativo e concreto. Non è soltanto la Nazionale a essere in crisi, è tutto il movimento calcistico. Gravina è il responsabile, essendo presidente della FIGC da ormai sette anni. È una situazione che porta inevitabilmente a un crollo finale. E poi che succede? Paga sempre l’allenatore. Ma io non me lo sarei aspettato. Le difficoltà si erano già viste, certo, ma qui perdiamo di vista il calcio e parliamo solo di politica sportiva. L’addio di Mancini era già stato un forte campanello d’allarme, come accaduto ad altri allenatori simili in passato: vado indietro fino a Sacchi, penso sia il capostipite. Mi ricordo le discussioni ai Mondiali del ’94 e poi agli Europei del ’96, finiti male. Parliamo di uomini di campo, che fanno fatica ad adattarsi a un lavoro come quello del commissario tecnico, dove hai due o tre giorni per lavorare con i giocatori. Spalletti non è un personaggio empatico nell’immediato, ha un carattere a volte spigoloso. Deve entrare nel gruppo in pochissimo tempo, e questo non gli è riuscito. Nemmeno il calcio proposto ha convinto. Dopo l’Europeo, Spalletti ha fatto qualcosa che non gli appartiene, cercando un equilibrio con un modulo 3-5-1-1, più conservativo, perché non ha trovato quello che cercava. È andato contro sé stesso. Lui è un allenatore che vuol far giocare a calcio le sue squadre, vuole dominare. E invece, l’ultima Nazionale era di una tristezza assoluta. Forse, dopo l’Europeo, se ci fosse stata una testa pensante in federazione, qualcuno avrebbe potuto chiamare Spalletti, dirgli: ‘Abbiamo sbagliato, ripartiamo da capo’. Invece si è portata avanti questa situazione per inerzia. Poi, il sabato, prima ancora di giocare una partita importante, arriva la decisione: via Spalletti. E allora? Hai già pronto il sostituto? Lo metti in panchina subito? Il punto più grave è stato chiedere a Spalletti di non dire nulla, di tenere tutto nascosto. Gravina, in due anni, non ha neanche capito che tipo di uomo sia Spalletti: non è uno che accetta certe cose. Infatti, al primo microfono, ha raccontato tutto, dicendo ciò che Gravina non aveva avuto il coraggio di dire poche ore prima. E ha fatto benissimo. Sono cose inaccettabili. In un mondo normale, le dimissioni sarebbero automatiche. Ma Gravina, invece, conserva sé stesso, se la prende con i giornalisti, ci chiama ‘guardoni’, come se cercare la verità fosse un reato. Quello che mi fa più rabbia è l’atteggiamento generale. Se ci fosse una stampa forte, unita, che pensa al bene del calcio italiano, ci sarebbe una sollevazione: tutti i media, tutti i giorni, dovrebbero dire ‘Gravina vattene’. Ma non succede. Questi personaggi hanno già dato. Hanno girato tutte le poltrone e rappresentano solo un centro di potere che sta distruggendo il nostro calcio. E infine, coinvolgo anche il governo. Il ministro Abodi, che conosco bene, aveva fatto sperare. È stato presidente della Serie B, conosce bene queste persone. Speravo potesse incidere. Non parlo di commissariamenti, ma almeno di un segnale. Ma neppure lui riesce a trovare una via. Questo è gravissimo".
Ieri c’è stato il “Kevin De Bruyne Day”: lo definiremmo il simbolo di una geopolitica calcistica italiana che cambia? Dove il Napoli, oggi, rappresenta un’eccellenza?
“Secondo me sì, è già cambiata la geopolitica calcistica. Negli ultimi tre anni, calcisticamente parlando, è arrivato un messaggio forte e chiaro: il Napoli c’è. Non è stato un caso isolato, non è capitato solo con Maradona o con Spalletti. No, il Napoli ha vinto due campionati consecutivi – di fatto – escludendo l’anno di transizione, e questo vuol dire che ci sono basi solide: idee, sostenibilità economica, organizzazione. Oggi Napoli è una piazza assolutamente all’altezza, se non superiore, a quelle del Nord, che hanno dominato per decenni. Il Napoli è lì, forte, chiaro, e secondo me è solo l’inizio. Perché? Perché quello che è successo in questi anni ha portato a una crescita anche economica. De Laurentiis, che tanto abbiamo criticato per la gestione familiare, ha fatto soldi veri grazie alle sue intuizioni. Penso a Kvaratskhelia, penso a Kim, a Osimhen. È uno che ha saputo comprare prima degli altri. Certo, il Napoli è cresciuto, è diventato un’industria. Ma resta una gestione familiare: lui ha fatto tutto da solo, e lo ha fatto bene. Ora può permettersi di spendere 200, forse anche 300 milioni. Non perché li ha immessi, ma perché li ha guadagnati. È all’apice del suo lavoro".
Direttore, secondo lei, la pista che porta a un grande attaccante – si è parlato di Viktor Gyökeres, ultimamente anche di Darwin Núñez – è realmente concreta per il Napoli?
“Certo, certo. Ma io aggiungo anche Kean, che ha una clausola da 52 milioni ed è molto appetibile. Ha fatto un campionato straordinario. Io ho visto tutte le sue partite: è uno dei pochi che fa reparto da solo. Quando dici ‘palla a Kean e gol’, è la sintesi brutale di ciò che può essere il calcio. Quest’anno ha fatto dei gol alla Fiorentina in quel modo: palla del portiere, lui stoppa, salta tutti e segna. Questo è Kean. Questi tre nomi mi piacciono. Ma io rimando la palla ad Antonio Conte, personaggio centrale in questo Napoli, che ormai è al livello – se non sopra – delle grandi del Nord. E allora bisogna fidarsi di Conte. L’avete visto l’anno scorso cosa ha fatto con le sue scelte, a partire da McTominay. Se ti fa prendere un giocatore, è perché ha già in mente movimenti, ruoli, incastri. Il suo calcio è come un orologio, e ogni pezzo deve incastrarsi alla perfezione. Perciò arriverà un attaccante funzionale al suo gioco. Se mi chiedi chi prenderei io, ti dico Kean piuttosto che Gyokeres o Nunez. Ma quello che sceglierà Conte sarà comunque una garanzia".
Ieri è stato il Kevin De Bruyne day: che operazione è stata?
“Dopo Cristiano Ronaldo, è il giocatore più forte arrivato in Italia negli ultimi vent’anni. Non è giovanissimo, ma nemmeno vecchio. E se fai un colpo del genere, se puoi investire su un ingaggio così importante, vuol dire che hai i conti in ordine. Hai le tasche piene".