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FOCUS NM - Mondiali 2022, la sorpresa: Giorgian Daniel De Arrascaeta, il numero 10 che avrebbe potuto cambiare il destino dell'Uruguay
03.12.2022 19:17 di Napoli Magazine

Non tutte le storie hanno un lieto fine e questa è decisamente una di quelle. L’ultima giornata della fase a gironi del Mondiale di Qatar 2022 ci ha regalato momenti di gioia e di dolore, lacrime di orgoglio versate in contemporanea a chi piangeva di rabbia per l’obiettivo fallito. Quando tutto si ferma e arriva l’ora di fare le proprie valutazioni, si incappa, spesso, nel più classico dei sentimenti di chi fallisce, sapendo di poter dare molto di più: il rimpianto. L’Uruguay di Diego Alonso aveva tutto per regalarsi un Mondiale da protagonista, eppure ha gettato alle ortiche una qualificazione, certamente non proibitiva, in quei noiosi 90 minuti contro la Corea del Sud che, invece, con quel pareggio, ha continuato a sperare fino all’impresa finale. Sembra una contraddizione ma anche la filosofia piena di “Garra” e di agonismo del calcio “Celeste” può avere i suoi rimpianti che potrebbero avere un nome e un cognome: Giorgian Daniel De Arrascaeta Benedetti. Il numero “10” di una qualsiasi selezione sudamericana non è un giocatore come altri, quella maglia sancisce un’investitura tecnica, nonché un attestato che avverte gli avversari che quel tipo di calciatore è ben diverso dagli altri. De Arrascaeta è ciò che, in questa Nazionale, più ricordava le caratteristiche del leggendario Enzo Francescoli, mezz’ala soprannominata “il Principe” per la sua eleganza. Impensabile fare paragoni, ma qualcosa di “principesco”, il ragazzo nato a Nuevo Berlin con origini basche e italiane, l’ha sempre avuto fin dai suoi primi passi col pallone: legge il gioco in maniera pazzesca, ha grandissima eleganza e capacità di dribbling e una discreta propensione al gol, messa in mostra fin dalle fasi di qualificazione al Mondiale, dove ha timbrato il cartellino 5 volte in 8 partite. Nonostante questa statistica, Giorgian riesce a dare il meglio di sé giocando tra le linee e facendo da raccordo tra attacco e centrocampo, prediligendo quella nobile e altruistica arte concessa a chi è munito di una sopraffina visione di gioco: l’assist. A 28 anni, l’uruguagio ha decisamente superato lo status di “enfant prodige”, che gli era stato affibbiato ai tempi in cui militava nel Defensor ma, in una carriera costellata da 17 titoli, manca ancora una sfida nel panorama europeo. “El Cocho”, come veniva chiamato in patria, ha preferito il Brasile ai campi d’Europa, togliendosi grandi soddisfazioni prima col Cruzeiro, poi con il Flamengo. Nella terra verdeoro viene etichettato con un nuovo soprannome “Caneta” (la penna ndr.) per la sua precisione e, di certo, il Mondiale in Qatar doveva essere la copertina perfetta. Ma, come detto, questa non è una storia a lieto fine e la giornata più bella della carriera di De Arrascaeta si trasforma in dramma sportivo quando al fischio finale viene confermata la vittoria della Corea del Sud che elimina la “Celeste” da questo Mondiale. Il 10 uruguagio raccoglie, con aria cupa, il premio di miglior giocatore, dopo la vittoria contro il Ghana e la doppietta segnata, diventando uno degli scatti, insieme al pianto di Suarez, più iconici della spedizione dell’Uruguay. In 45 minuti, De Arrascaeta aveva sbrigato la pratica ghanese, mostrando ciò che in due partite non si era visto nella tattica del CT Alonso: da mezz’ala ha ispirato i compagni con ottime giocate ed è riuscito a farsi trovare sempre al posto giusto nel momento giusto grazie ai suoi inserimenti con e senza palla. Il secondo gol è un saggio di eleganza che parte da una giocata collettiva di alto livello e finisce con una rifinitura di Suarez, per l’inserimento e la conclusione di prima del numero 10 della “Celeste”. L’Uruguay non ha mai giocato così bene e, tatticamente, la presenza di De Arrascaeta ha donato fosforo e qualità alla manovra. Il rimpianto, dunque, è di averlo visto titolare solo in una partita e, soprattutto, di non avergli concesso minuti nel match contro la Corea del Sud, dove persino la telecronaca delle reti italiane si interrogava sul suo possibile impiego. In Uruguay non hanno dubbi: Giorgian doveva essere il titolare della Nazionale e ha pagato le scelte del Mister. Una pagina buia per la storia del calcio uruguagio nel quale, però, è apparsa una luce ben luminosa che non può essere ignorata. Il “partidazo” di De Arrascaeta è stata solo la punta di una carriera ancora ignorata dal calcio europeo, ma che ha riempito la passione degli amanti del calcio sudamericano.

 

 

Emanuele Petrarca

 

 

Napoli Magazine

 

 

Riproduzione del testo consentita previa citazione della fonte: www.napolimagazine.com

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03/12/2022 - 19:17

Non tutte le storie hanno un lieto fine e questa è decisamente una di quelle. L’ultima giornata della fase a gironi del Mondiale di Qatar 2022 ci ha regalato momenti di gioia e di dolore, lacrime di orgoglio versate in contemporanea a chi piangeva di rabbia per l’obiettivo fallito. Quando tutto si ferma e arriva l’ora di fare le proprie valutazioni, si incappa, spesso, nel più classico dei sentimenti di chi fallisce, sapendo di poter dare molto di più: il rimpianto. L’Uruguay di Diego Alonso aveva tutto per regalarsi un Mondiale da protagonista, eppure ha gettato alle ortiche una qualificazione, certamente non proibitiva, in quei noiosi 90 minuti contro la Corea del Sud che, invece, con quel pareggio, ha continuato a sperare fino all’impresa finale. Sembra una contraddizione ma anche la filosofia piena di “Garra” e di agonismo del calcio “Celeste” può avere i suoi rimpianti che potrebbero avere un nome e un cognome: Giorgian Daniel De Arrascaeta Benedetti. Il numero “10” di una qualsiasi selezione sudamericana non è un giocatore come altri, quella maglia sancisce un’investitura tecnica, nonché un attestato che avverte gli avversari che quel tipo di calciatore è ben diverso dagli altri. De Arrascaeta è ciò che, in questa Nazionale, più ricordava le caratteristiche del leggendario Enzo Francescoli, mezz’ala soprannominata “il Principe” per la sua eleganza. Impensabile fare paragoni, ma qualcosa di “principesco”, il ragazzo nato a Nuevo Berlin con origini basche e italiane, l’ha sempre avuto fin dai suoi primi passi col pallone: legge il gioco in maniera pazzesca, ha grandissima eleganza e capacità di dribbling e una discreta propensione al gol, messa in mostra fin dalle fasi di qualificazione al Mondiale, dove ha timbrato il cartellino 5 volte in 8 partite. Nonostante questa statistica, Giorgian riesce a dare il meglio di sé giocando tra le linee e facendo da raccordo tra attacco e centrocampo, prediligendo quella nobile e altruistica arte concessa a chi è munito di una sopraffina visione di gioco: l’assist. A 28 anni, l’uruguagio ha decisamente superato lo status di “enfant prodige”, che gli era stato affibbiato ai tempi in cui militava nel Defensor ma, in una carriera costellata da 17 titoli, manca ancora una sfida nel panorama europeo. “El Cocho”, come veniva chiamato in patria, ha preferito il Brasile ai campi d’Europa, togliendosi grandi soddisfazioni prima col Cruzeiro, poi con il Flamengo. Nella terra verdeoro viene etichettato con un nuovo soprannome “Caneta” (la penna ndr.) per la sua precisione e, di certo, il Mondiale in Qatar doveva essere la copertina perfetta. Ma, come detto, questa non è una storia a lieto fine e la giornata più bella della carriera di De Arrascaeta si trasforma in dramma sportivo quando al fischio finale viene confermata la vittoria della Corea del Sud che elimina la “Celeste” da questo Mondiale. Il 10 uruguagio raccoglie, con aria cupa, il premio di miglior giocatore, dopo la vittoria contro il Ghana e la doppietta segnata, diventando uno degli scatti, insieme al pianto di Suarez, più iconici della spedizione dell’Uruguay. In 45 minuti, De Arrascaeta aveva sbrigato la pratica ghanese, mostrando ciò che in due partite non si era visto nella tattica del CT Alonso: da mezz’ala ha ispirato i compagni con ottime giocate ed è riuscito a farsi trovare sempre al posto giusto nel momento giusto grazie ai suoi inserimenti con e senza palla. Il secondo gol è un saggio di eleganza che parte da una giocata collettiva di alto livello e finisce con una rifinitura di Suarez, per l’inserimento e la conclusione di prima del numero 10 della “Celeste”. L’Uruguay non ha mai giocato così bene e, tatticamente, la presenza di De Arrascaeta ha donato fosforo e qualità alla manovra. Il rimpianto, dunque, è di averlo visto titolare solo in una partita e, soprattutto, di non avergli concesso minuti nel match contro la Corea del Sud, dove persino la telecronaca delle reti italiane si interrogava sul suo possibile impiego. In Uruguay non hanno dubbi: Giorgian doveva essere il titolare della Nazionale e ha pagato le scelte del Mister. Una pagina buia per la storia del calcio uruguagio nel quale, però, è apparsa una luce ben luminosa che non può essere ignorata. Il “partidazo” di De Arrascaeta è stata solo la punta di una carriera ancora ignorata dal calcio europeo, ma che ha riempito la passione degli amanti del calcio sudamericano.

 

 

Emanuele Petrarca

 

 

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