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LA STORIA - 90 anni di Napoli, dal 1926 all’ultima partita col Frosinone: l’album dei ricordi
04.07.2016 11:59 di Napoli Magazine Fonte: Gaetano Brunetti per il Roma

Il calcio a Napoli si gioca da fine ottocento come in tutte le grandi città italiane, solo che le compagini cittadini si alternavano nei gironi meridionali fino alla fusione del 1926, quando nacque l’Associazione Calcio Napoli diventata poi Società Sportiva col cambio denominazione sociale del 1964. Giorgio Ascarelli, commerciante del quartiere Pendino è stato il primo, lungimirante, presidente del sodalizio Napoletano che adottò come simbolo il Cavallo rampante della Real Razza borbonica di Persano, scomparsa poi dopo l’Unità d’Italia. Il cavallo rampante, già simbolo fulgido della città, divenne subito ciucciariello nell’immaginario collettivo del popolo, dopo la prima, disastrosa, stagione agonistica nel massimo torneo nazionale, finita con la retrocessione in seconda divisione. Fu così anche nella stagione successiva ma in entrambe le occasioni, i vertici della federazione ripescarono il neonato club, per premiare gli sforzi fatti e recuperare il gap con le già consolidate potenze del settentrione. Nel 1929/30, il Napoli, prese parte al primo campionato nazionale a girone unico, il presidente volle svoltare e chiamò alla guida del club, l’inglese William Garbutt che tanto bene aveva fatto al Genoa, durante la sua esperienza in terra ligure. C’erano Vojak e il mitico Attila Sallustro e con l’aiuto di tantissimi altri buoni giocatori che arrivarono ottenne storici risultati, come le prime vittorie contro i colossi del nord ed i piazzamenti in campionato, oltre alla prima, indimenticabile, qualificazione alla Coppa Mitropa, unica competizione europea per club dell’epoca. Giorgio Ascarelli era imprenditore lungimirante, costruì, infatti, per primo in Italia, uno stadio di proprietà del club. Lo fece al Rione Luzzatti, nei pressi dell’attuale Centro Direzionale, l’impianto con spalti in legno, venne chiamato stadio Partenopeo ma dopo l’inaugurazione del 1930, il patron morì improvvisamente e l’impianto fu intitolato a lui. Si disputarono diverse partite del Mondiale del 1934 ma fu definitivamente distrutto con i bombardamenti degli alleati del 1942. La squadra visse momenti di gloria con l’avvento di Achille Lauro ma anche brutali retrocessioni, arrivarono giocatori di grosso calibro come Jeppson, Vinicio e Pesaola, Altafini e Omar Sivori ma nonostante tutto, la squadra non riuscì mai a portare a casa l’agognato scudetto. Nel 1961 gli azzurri tornarono in serie B ma la squadra venne affidata a Bruno Pesaola. Petisso riuscì a riportare la compagine in massima serie vincendo persino il primo trofeo della Storia, la Coppa Italia 1961-62, battendo in finale la Spal e divenendo insieme al Vado, l'unica società ad aver vinto tale trofeo pur non giocando in Serie A. Nel 1964 si cambiò denominazione sociale, l’AC Napoli divenne SSCNapoli, Achille Lauro acquistò importanti quote societarie che poi passarono al figlio Gioacchino, dopodiché entrò in scena l’ambizioso Roberto Fiore che acquistò fior di campioni, formando in azzurro lo storico tandem Sivori-Altafini, ma come tutti gli altri non riuscì mai a vincere lo scudetto. Nel 1969 la società passa nelle mani dell’ingegnere Corrado Ferlaino, che avviò la più lunga e vincente presidenza della storia del club azzurro. Arrivarono Clerici, Burgnich, Bruscolotti, la squadra si consolidò nel panorama calcistico italiano e riuscì a conquistare la seconda Coppa Italia della storia, nel 1976, battendo in finale il Verona. Nel 1981 sfiorò lo scudetto con Krol tra i protagonisti assoluti ma la svolta storica avvenne nel 1984, quando al San Paolo, nel solluchero inebriante della città, arrivò Diego Armando Maradona dal Barcellona. Durante il settennato d’oro, il club azzurro divenne tra i più temuti d’Italia e d’Europa, la squadra con l’avvento del Pibe argentino ed altri innesti di grande valore, come Giordano, Carnevale, Bagni, Careca, Alemao, Romano, Zola, Corradini, riuscì a spodestare i grandi club del nord, rompendo quell’egemonia e quel monopolio che si era stabilito nel corso del novecento. Memorabili le sfide alla Juventus di Platini e i fantastici gol di Diego Maradona che condussero la squadra al primo storico scudetto nel 1987 e il doblete con l’ennesima Coppa Italia. L’anno dopo gli azzurri dominarono ma contro il Milan di Sacchi, al San Paolo, persero malamente il match ball scudetto, consegnando di fatto il titolo ai rossoneri del neo presidente Berlusconi. L’anno dopo fu la volta dell’Inter dei record di Trapattoni in cima al campionato ma il Napoli di Ottavio Bianchi riuscì nell’impresa storica di vincere la Coppa Uefa in finale contro lo Stoccarda, dopo un cammino trionfale che li aveva visti battere squadra del calibro del Bayern Monaco. Nel 1990 arrivò il secondo storico ed ultimo scudetto della storia azzurra con la strepitosa vittoria della Supercoppa Italiana contro i rivali di sempre della Juventus. Nel 1991, l’addio di Maradona all’Italia, coincise con la parabola discendente del Napoli Calcio, il dissesto finanziario della società portò ad una repentina caduta anche sul piano sportivo, arrivarono allenatori che poi sarebbero diventati di grido come Claudio Ranieri e Marcello Lippi, arrivarono Vujadin Boskov, Galeone, Mutti, Simoni, si alternarono in tanti sulla panchina azzurra ma nel 1998 arrivò la retrocessione in Serie B dopo anni di trionfi. Gli azzurri tornarono in serie A soltanto nel duemila con Walter Novellino in panchina che fu sostituito col boemo Zeman in massima serie. La squadra a fine anno retrocesse di nuovo con Emiliano Mondonico che subentrò nel corso della stagione al boemo. Nel 2001 arrivò De Canio che sfiorò la promozione, poi si alternarono Colomba, Agostinelli e Simoni ma la società nel luglio 2004 fallì sotto la guida di Salvatore Naldi e da lì ebbe inizio una nuova storia. Nell’estate 2004 Aurelio De Laurentiis comparve sulla scena acquistando il titolo sportivo della fallita società a Castel Capuano, sede del vecchio tribunale nel cuore della città, la squadra venne chiamata Napoli Soccer per non infangare con la C il lustro e i titoli della SSCNapoli. Ventura, attuale ct della nazionale italiana, fu il primo allenatore della nuova era ma dopo il pareggio in casa con la Fermana, venne esonerato. Edy Reja fu chiamato da Pierpaolo Marino per risollevare le sorti sportive della squadra, il goriziano riuscì nell’impresa di portare gli azzurri in B al secondo anno, in A al terzo della sua gestione e in Europa al quarto, scrivendo la storia moderna del club con gli sconosciuti – fino ad allora - Hamsik, Lavezzi e Garics. Quella con Roberto Donadoni in sella fu solo una breve parentesi, la squadra azzurra rivide la luce con Walter Mazzarri in panchina. L’allenatore toscano riportò la squadra in Champions League dopo gli anni di Diego e riuscì a vincere il primo storico trofeo dell’era De Laurentiis, la Coppa Italia contro la Juventus dei record di Conte in quell’indimenticabile 20 maggio 2012. L’epopea "Mazzarriana" terminò nel 2013, il Napoli cedette al Psg per la cifra monstre di 65 milioni di euro la sua punta di diamante, Edinson Cavani ma in azzurro arrivarono, Rafa Benitez in panchina e giocatori del calibro di Reina, Mertens, Callejon, Albiol, Ghoulam e Higuaìn. Il primo anno di marca spagnola si concluse col punteggio record in Champions, memorabili sfide ad Arsenal, Dortmund e Marsiglia ma cocente retrocessione in Europa League per differenza reti. A fine anno arrivarono, però, terzo posto alle spalle della Juve e della Roma dei record e vittoria della Coppa Italia contro la Fiorentina, in quel sfortunato 3 maggio 2014, ricordato più per i fatti di cronaca che per il bel gioco espresso da entrambe le formazioni. L’anno successivo si aprì con una deludentissima eliminazione al girone preliminare di Champions contro il Bilbao ed una partenza a singhiozzo in campionato, le promesse non furono rispettate in sede di mercato e la squadra, via via, perse il controllo della situazione. A dicembre 2014 a Doha, gli uomini di Benitez, riuscirono a riportare a Napoli la Supercoppa Italiana, battendo ai rigori la squadra di Allegri e dello scatenato Carlitos Tevez. A fine anno, gli azzurri chiusero quinti il campionato, perdendo il match ball Champions contro la Lazio di Pioli. Il resto è storia recente, Maurizio Sarri viene scelto dal presidente azzurro in modo impopolare ma il suo Napoli, nel corso della stagione, ha stupito tutti, convincendo anche gli scettici. La squadra azzurra capitanata dal leader Reina, dopo un inizio balbettante arriva persino a contendere lo scudetto alla Juventus, divenendo di fatto anche Campione D’Inverno dopo tantissimi anni d’attesa dall’ultima volta. A febbraio scorso, però, la sfida scudetto persa contro i bianconeri di Allegri, col famoso gol di Zaza, quasi allo scadere, riporta gli azzurri sulla terra. Rimandando, di fatto, ancora una volta l’appuntamento con la storia. Il secondo posto finale e la qualificazione diretta ai gironi di Champions daranno nuova linfa alla squadra, che ha entusiasmato tutto il movimento calcistico italiano col suo bel gioco e i molteplici record messi a segno. Sperando che il prossimo sia sempre quello buono per trionfare.

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Il calcio a Napoli si gioca da fine ottocento come in tutte le grandi città italiane, solo che le compagini cittadini si alternavano nei gironi meridionali fino alla fusione del 1926, quando nacque l’Associazione Calcio Napoli diventata poi Società Sportiva col cambio denominazione sociale del 1964. Giorgio Ascarelli, commerciante del quartiere Pendino è stato il primo, lungimirante, presidente del sodalizio Napoletano che adottò come simbolo il Cavallo rampante della Real Razza borbonica di Persano, scomparsa poi dopo l’Unità d’Italia. Il cavallo rampante, già simbolo fulgido della città, divenne subito ciucciariello nell’immaginario collettivo del popolo, dopo la prima, disastrosa, stagione agonistica nel massimo torneo nazionale, finita con la retrocessione in seconda divisione. Fu così anche nella stagione successiva ma in entrambe le occasioni, i vertici della federazione ripescarono il neonato club, per premiare gli sforzi fatti e recuperare il gap con le già consolidate potenze del settentrione. Nel 1929/30, il Napoli, prese parte al primo campionato nazionale a girone unico, il presidente volle svoltare e chiamò alla guida del club, l’inglese William Garbutt che tanto bene aveva fatto al Genoa, durante la sua esperienza in terra ligure. C’erano Vojak e il mitico Attila Sallustro e con l’aiuto di tantissimi altri buoni giocatori che arrivarono ottenne storici risultati, come le prime vittorie contro i colossi del nord ed i piazzamenti in campionato, oltre alla prima, indimenticabile, qualificazione alla Coppa Mitropa, unica competizione europea per club dell’epoca. Giorgio Ascarelli era imprenditore lungimirante, costruì, infatti, per primo in Italia, uno stadio di proprietà del club. Lo fece al Rione Luzzatti, nei pressi dell’attuale Centro Direzionale, l’impianto con spalti in legno, venne chiamato stadio Partenopeo ma dopo l’inaugurazione del 1930, il patron morì improvvisamente e l’impianto fu intitolato a lui. Si disputarono diverse partite del Mondiale del 1934 ma fu definitivamente distrutto con i bombardamenti degli alleati del 1942. La squadra visse momenti di gloria con l’avvento di Achille Lauro ma anche brutali retrocessioni, arrivarono giocatori di grosso calibro come Jeppson, Vinicio e Pesaola, Altafini e Omar Sivori ma nonostante tutto, la squadra non riuscì mai a portare a casa l’agognato scudetto. Nel 1961 gli azzurri tornarono in serie B ma la squadra venne affidata a Bruno Pesaola. Petisso riuscì a riportare la compagine in massima serie vincendo persino il primo trofeo della Storia, la Coppa Italia 1961-62, battendo in finale la Spal e divenendo insieme al Vado, l'unica società ad aver vinto tale trofeo pur non giocando in Serie A. Nel 1964 si cambiò denominazione sociale, l’AC Napoli divenne SSCNapoli, Achille Lauro acquistò importanti quote societarie che poi passarono al figlio Gioacchino, dopodiché entrò in scena l’ambizioso Roberto Fiore che acquistò fior di campioni, formando in azzurro lo storico tandem Sivori-Altafini, ma come tutti gli altri non riuscì mai a vincere lo scudetto. Nel 1969 la società passa nelle mani dell’ingegnere Corrado Ferlaino, che avviò la più lunga e vincente presidenza della storia del club azzurro. Arrivarono Clerici, Burgnich, Bruscolotti, la squadra si consolidò nel panorama calcistico italiano e riuscì a conquistare la seconda Coppa Italia della storia, nel 1976, battendo in finale il Verona. Nel 1981 sfiorò lo scudetto con Krol tra i protagonisti assoluti ma la svolta storica avvenne nel 1984, quando al San Paolo, nel solluchero inebriante della città, arrivò Diego Armando Maradona dal Barcellona. Durante il settennato d’oro, il club azzurro divenne tra i più temuti d’Italia e d’Europa, la squadra con l’avvento del Pibe argentino ed altri innesti di grande valore, come Giordano, Carnevale, Bagni, Careca, Alemao, Romano, Zola, Corradini, riuscì a spodestare i grandi club del nord, rompendo quell’egemonia e quel monopolio che si era stabilito nel corso del novecento. Memorabili le sfide alla Juventus di Platini e i fantastici gol di Diego Maradona che condussero la squadra al primo storico scudetto nel 1987 e il doblete con l’ennesima Coppa Italia. L’anno dopo gli azzurri dominarono ma contro il Milan di Sacchi, al San Paolo, persero malamente il match ball scudetto, consegnando di fatto il titolo ai rossoneri del neo presidente Berlusconi. L’anno dopo fu la volta dell’Inter dei record di Trapattoni in cima al campionato ma il Napoli di Ottavio Bianchi riuscì nell’impresa storica di vincere la Coppa Uefa in finale contro lo Stoccarda, dopo un cammino trionfale che li aveva visti battere squadra del calibro del Bayern Monaco. Nel 1990 arrivò il secondo storico ed ultimo scudetto della storia azzurra con la strepitosa vittoria della Supercoppa Italiana contro i rivali di sempre della Juventus. Nel 1991, l’addio di Maradona all’Italia, coincise con la parabola discendente del Napoli Calcio, il dissesto finanziario della società portò ad una repentina caduta anche sul piano sportivo, arrivarono allenatori che poi sarebbero diventati di grido come Claudio Ranieri e Marcello Lippi, arrivarono Vujadin Boskov, Galeone, Mutti, Simoni, si alternarono in tanti sulla panchina azzurra ma nel 1998 arrivò la retrocessione in Serie B dopo anni di trionfi. Gli azzurri tornarono in serie A soltanto nel duemila con Walter Novellino in panchina che fu sostituito col boemo Zeman in massima serie. La squadra a fine anno retrocesse di nuovo con Emiliano Mondonico che subentrò nel corso della stagione al boemo. Nel 2001 arrivò De Canio che sfiorò la promozione, poi si alternarono Colomba, Agostinelli e Simoni ma la società nel luglio 2004 fallì sotto la guida di Salvatore Naldi e da lì ebbe inizio una nuova storia. Nell’estate 2004 Aurelio De Laurentiis comparve sulla scena acquistando il titolo sportivo della fallita società a Castel Capuano, sede del vecchio tribunale nel cuore della città, la squadra venne chiamata Napoli Soccer per non infangare con la C il lustro e i titoli della SSCNapoli. Ventura, attuale ct della nazionale italiana, fu il primo allenatore della nuova era ma dopo il pareggio in casa con la Fermana, venne esonerato. Edy Reja fu chiamato da Pierpaolo Marino per risollevare le sorti sportive della squadra, il goriziano riuscì nell’impresa di portare gli azzurri in B al secondo anno, in A al terzo della sua gestione e in Europa al quarto, scrivendo la storia moderna del club con gli sconosciuti – fino ad allora - Hamsik, Lavezzi e Garics. Quella con Roberto Donadoni in sella fu solo una breve parentesi, la squadra azzurra rivide la luce con Walter Mazzarri in panchina. L’allenatore toscano riportò la squadra in Champions League dopo gli anni di Diego e riuscì a vincere il primo storico trofeo dell’era De Laurentiis, la Coppa Italia contro la Juventus dei record di Conte in quell’indimenticabile 20 maggio 2012. L’epopea "Mazzarriana" terminò nel 2013, il Napoli cedette al Psg per la cifra monstre di 65 milioni di euro la sua punta di diamante, Edinson Cavani ma in azzurro arrivarono, Rafa Benitez in panchina e giocatori del calibro di Reina, Mertens, Callejon, Albiol, Ghoulam e Higuaìn. Il primo anno di marca spagnola si concluse col punteggio record in Champions, memorabili sfide ad Arsenal, Dortmund e Marsiglia ma cocente retrocessione in Europa League per differenza reti. A fine anno arrivarono, però, terzo posto alle spalle della Juve e della Roma dei record e vittoria della Coppa Italia contro la Fiorentina, in quel sfortunato 3 maggio 2014, ricordato più per i fatti di cronaca che per il bel gioco espresso da entrambe le formazioni. L’anno successivo si aprì con una deludentissima eliminazione al girone preliminare di Champions contro il Bilbao ed una partenza a singhiozzo in campionato, le promesse non furono rispettate in sede di mercato e la squadra, via via, perse il controllo della situazione. A dicembre 2014 a Doha, gli uomini di Benitez, riuscirono a riportare a Napoli la Supercoppa Italiana, battendo ai rigori la squadra di Allegri e dello scatenato Carlitos Tevez. A fine anno, gli azzurri chiusero quinti il campionato, perdendo il match ball Champions contro la Lazio di Pioli. Il resto è storia recente, Maurizio Sarri viene scelto dal presidente azzurro in modo impopolare ma il suo Napoli, nel corso della stagione, ha stupito tutti, convincendo anche gli scettici. La squadra azzurra capitanata dal leader Reina, dopo un inizio balbettante arriva persino a contendere lo scudetto alla Juventus, divenendo di fatto anche Campione D’Inverno dopo tantissimi anni d’attesa dall’ultima volta. A febbraio scorso, però, la sfida scudetto persa contro i bianconeri di Allegri, col famoso gol di Zaza, quasi allo scadere, riporta gli azzurri sulla terra. Rimandando, di fatto, ancora una volta l’appuntamento con la storia. Il secondo posto finale e la qualificazione diretta ai gironi di Champions daranno nuova linfa alla squadra, che ha entusiasmato tutto il movimento calcistico italiano col suo bel gioco e i molteplici record messi a segno. Sperando che il prossimo sia sempre quello buono per trionfare.

Fonte: Gaetano Brunetti per il Roma