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L'APPUNTO - Nunzia Marciano su "NM": "Il Napoli e quella domanda..."
27.05.2019 20:00 di Napoli Magazine

NAPOLI - Partire per ricominciare. È la strofa di una canzone, è la fine di una stagione da cui (ri)partire aspettando la prossima senza nemmeno pensarci troppo. Si poteva finire in bellezza, si è chiuso con una sconfitta ma con lo sguardo che guarda oltre la siepe della classifica, e quella sconfitta poco importa. Un’annata quella appena finita che ha visto andar via il capitano alla volta di un altro continente, lasciando una squadra senza guida e senza più la stessa verve. Non è una questione di punti: il Napoli chiude al secondo posto dietro la Juve di Ronaldo, si qualifica in Champions e si prepara a nuovi orizzonti. Perciò, non è una questione di sostanza: è questione di forma, quella di un bel gioco che troppo spesso non si è visto; quello di una squadra contestata ad oltranza, con una maglia ingiustamente rifiutata. Si è visto un Napoli altalenante, in campo e fuori e altrettanto altalenanti sono stati i suoi tifosi, quasi come se la squadra dovesse essere difesa dai suoi stessi supporter. Un’annata targata Ancelotti, perché per far dimenticare in fretta Sarri era su un nome come il suo che bisognava per forza puntare. Carlo Ancelotti. Il nome di una garanzia che però non ha riempito nessuna vetrina. Ed è tutta qui la domanda: si meritava di più? E chi è che doveva dare questo di più? Il patron De Laurentiis, tra soldi mai sborsati per gli acquisti e curve quasi sempre troppo care? L’allenatore? Alla ricerca del modulo perduto e forse, mai veramente trovato? I giocatori? Quelli patriottici di napoletani (più o meno) Natali in continua diatriba e forzato odi et amo? Insomma, da chi si poteva chiedere di più, se di più si poteva chiedere? Napoli si è accontentata, il Napoli probabilmente pure, soprattutto se si guarda a chi ha vinto poco, pochissimo senza nemmeno avvicinarsi al triplete, sborsando una cifra più che blu. Lì si può parlare di fallimento. Davvero. Al Napoli, e a Napoli, che con la squadra è tutt’uno, resta in testa una domanda, la stessa, da troppi anni: quand’è che si tornerà a vincere davvero? Quando (e se?) si alzerà una coppa, la Coppa, quella dello scudetto, al cielo azzurro di Napoli? Perché sì, è inutile girarci attorno: la domanda è quella. Va bene il bel gioco, vanno bene gli applausi, va bene baciare maglie e fare cuori alla telecamera quando si segna. Quando-si-segna. E non si sbaglia. Ma ad un certo punto si deve vincere. È fisiologico, naturale ed è quasi un bisogno: ad un certo punto si deve smettere di sognare e si devono aprire gli occhi per guardare che il traguardo è stato raggiunto, che è valsa la pena patire se questo avrebbe significato vivere quel sogno. Perciò, va bene tutto, quasi tutto, ok. Ma deve valerne la pena. Deve voler dire vincere, davvero. Al di là delle altre squadre e persino di chi le allenerà. Va bene tutto. Al di là di tutto. O quasi. Ma l’obiettivo è chiaro: vincere. Perché a partecipare ci si è già fin troppo abituati. E così sia.

 

 

Nunzia Marciano
 
 
Napoli Magazine
 
 
Riproduzione del testo consentita previa citazione della fonte: www.napolimagazine.com
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27/05/2024 - 20:00

NAPOLI - Partire per ricominciare. È la strofa di una canzone, è la fine di una stagione da cui (ri)partire aspettando la prossima senza nemmeno pensarci troppo. Si poteva finire in bellezza, si è chiuso con una sconfitta ma con lo sguardo che guarda oltre la siepe della classifica, e quella sconfitta poco importa. Un’annata quella appena finita che ha visto andar via il capitano alla volta di un altro continente, lasciando una squadra senza guida e senza più la stessa verve. Non è una questione di punti: il Napoli chiude al secondo posto dietro la Juve di Ronaldo, si qualifica in Champions e si prepara a nuovi orizzonti. Perciò, non è una questione di sostanza: è questione di forma, quella di un bel gioco che troppo spesso non si è visto; quello di una squadra contestata ad oltranza, con una maglia ingiustamente rifiutata. Si è visto un Napoli altalenante, in campo e fuori e altrettanto altalenanti sono stati i suoi tifosi, quasi come se la squadra dovesse essere difesa dai suoi stessi supporter. Un’annata targata Ancelotti, perché per far dimenticare in fretta Sarri era su un nome come il suo che bisognava per forza puntare. Carlo Ancelotti. Il nome di una garanzia che però non ha riempito nessuna vetrina. Ed è tutta qui la domanda: si meritava di più? E chi è che doveva dare questo di più? Il patron De Laurentiis, tra soldi mai sborsati per gli acquisti e curve quasi sempre troppo care? L’allenatore? Alla ricerca del modulo perduto e forse, mai veramente trovato? I giocatori? Quelli patriottici di napoletani (più o meno) Natali in continua diatriba e forzato odi et amo? Insomma, da chi si poteva chiedere di più, se di più si poteva chiedere? Napoli si è accontentata, il Napoli probabilmente pure, soprattutto se si guarda a chi ha vinto poco, pochissimo senza nemmeno avvicinarsi al triplete, sborsando una cifra più che blu. Lì si può parlare di fallimento. Davvero. Al Napoli, e a Napoli, che con la squadra è tutt’uno, resta in testa una domanda, la stessa, da troppi anni: quand’è che si tornerà a vincere davvero? Quando (e se?) si alzerà una coppa, la Coppa, quella dello scudetto, al cielo azzurro di Napoli? Perché sì, è inutile girarci attorno: la domanda è quella. Va bene il bel gioco, vanno bene gli applausi, va bene baciare maglie e fare cuori alla telecamera quando si segna. Quando-si-segna. E non si sbaglia. Ma ad un certo punto si deve vincere. È fisiologico, naturale ed è quasi un bisogno: ad un certo punto si deve smettere di sognare e si devono aprire gli occhi per guardare che il traguardo è stato raggiunto, che è valsa la pena patire se questo avrebbe significato vivere quel sogno. Perciò, va bene tutto, quasi tutto, ok. Ma deve valerne la pena. Deve voler dire vincere, davvero. Al di là delle altre squadre e persino di chi le allenerà. Va bene tutto. Al di là di tutto. O quasi. Ma l’obiettivo è chiaro: vincere. Perché a partecipare ci si è già fin troppo abituati. E così sia.

 

 

Nunzia Marciano
 
 
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