Mister Z
MR Z - Caro Gigio, un po’ più di calma
16.03.2021 23:37 di Napoli Magazine

NAPOLI - Nella tarda serata di domenica, dopo aver guardato in tv la partita Milan-Napoli, ho ripreso in mano il vocabolario della lingua italiana. Non che fosse trascorso troppo tempo dall’ultima volta che l’avevo consultato perché, per fortuna, i dubbi sulla nostra lingua si affacciano di continuo all’uscio della mia mente e non manca occasione, di tanto in tanto, di consultare il mio amatissimo Devoto-Oli. Ed è proprio a questo volume che mi sono rivolto, ancora una volta fiducioso di avere da quelle pagine una risposta chiara e certa che fugasse ogni mio dubbio sull’uso di una parola. Il termine in questione, questa volta, era ‘banda’. Si proprio la parola usata, immagino dispregiativamente, rivolgendosi alla panchina del Napoli, dal portiere del Milan, Gianluigi Donnarumma, un ragazzo di 22 anni nato nell’ospedale di Castellammare di Stabia e figlio di una famiglia residente a Messigno, frazione di Pompei, come ricordava con geografica precisione ieri in un suo post su Facebook il mio amico avvocato Bruno Ricciardelli. Scopo della mia ricerca era capire che cosa volesse intendere, a che cosa volesse riferirsi Donnarumma apostrofando con ‘banda’ la comunità che era seduta sulla panchina azzurra. Tra le tante accezioni che il Devoto-Oli indica in riferimento a quel termine penso di aver trovato quella giusta. Poiché spero (e credo) che il portiere rossonero di nascita pompeiana non intendesse con il termine ‘banda’ indicare “un gruppo organizzato di fuorilegge che di solito obbedisce a un capo e si attribuisce una certa autonomia nei confronti della malavita di una città o di un paese”, né tantomeno “compagnia di sonatori di strumenti a fiato e a percussione, formata da militari o civili, che si esibisce in occasione di solennità”, ho pensato che volesse riferirsi a un “gruppo di individui poco raccomandabili o menefreghisti”. E allora mi sono chiesto: ma perché? Capisco la rabbia di aver perso la partita e ci può stare che un calciatore in tali circostanze possa essere particolarmente nervoso. Ho letto da qualche parte che la furia di Donnarumma fosse giustificata dalla mancata concessione del rigore al Milan per il presunto fallo di Bakayoko su Theo Hernandez, ma a questa versione non posso e non voglio credere perché essendo avvenuto il fatto a circa 90 metri di distanza da lui, immagino che in proposito Donnarumma non potesse avere certezze tali da suffragarne la rabbia focosa. E allora? Qualunque cosa possano aver fatto o detto i componenti la panchina del Napoli, il portiere della Nazionale avrebbe fatto bene a contenersi e ad evitare sceneggiate che non gli danno lustro. Capisco che a 22 anni l’esuberanza possa essere tale e tanta da far andare talvolta sopra le righe. Ma Donnarumma è un professionista, ormai da molti anni, e certe licenze non può prendersele. Se poi, come ha fatto qualcuno sui social, si pensa che la reazione scomposta sia stata provocata da un astio personale che Donnarumma nutre nei confronti del Napoli e dei napoletani, beh allora dico che io non ci credo. Fin quando si trattava di prendere in giro lo zio, tifoso azzurro, come fece nel celebre post pubblicato nel 2018 all’indomani di un Milan-Napoli in cui negò nei minuti finali il gol a Milik con una formidabile parata, frutto del suo eccezionale talento di portiere, ci può stare. Ma credere che un ragazzo cresciuto nelle campagne di Pompei possa nutrire tanto astio nei confronti della squadra di calcio espressione della sua terra natia, non è possibile. E allora, Gigio, un po’ più di calma e di tranquillità. E ricordati sempre, anche quando le partite finiscono con una sconfitta, che sei il portiere della Nazionale, che rappresenti l’Italia e che per quanto emigrato a Milano, rimani un figlio di questa terra, dove la gente ti vuole bene e te ne vorrà sempre, anche se indossi la casacca…sbagliata.

 

 

Mario Zaccaria

 

Napoli Magazine

 

Riproduzione del testo consentita previa citazione della fonte:www.napolimagazine.com

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di Napoli Magazine

16/03/2024 - 23:37

NAPOLI - Nella tarda serata di domenica, dopo aver guardato in tv la partita Milan-Napoli, ho ripreso in mano il vocabolario della lingua italiana. Non che fosse trascorso troppo tempo dall’ultima volta che l’avevo consultato perché, per fortuna, i dubbi sulla nostra lingua si affacciano di continuo all’uscio della mia mente e non manca occasione, di tanto in tanto, di consultare il mio amatissimo Devoto-Oli. Ed è proprio a questo volume che mi sono rivolto, ancora una volta fiducioso di avere da quelle pagine una risposta chiara e certa che fugasse ogni mio dubbio sull’uso di una parola. Il termine in questione, questa volta, era ‘banda’. Si proprio la parola usata, immagino dispregiativamente, rivolgendosi alla panchina del Napoli, dal portiere del Milan, Gianluigi Donnarumma, un ragazzo di 22 anni nato nell’ospedale di Castellammare di Stabia e figlio di una famiglia residente a Messigno, frazione di Pompei, come ricordava con geografica precisione ieri in un suo post su Facebook il mio amico avvocato Bruno Ricciardelli. Scopo della mia ricerca era capire che cosa volesse intendere, a che cosa volesse riferirsi Donnarumma apostrofando con ‘banda’ la comunità che era seduta sulla panchina azzurra. Tra le tante accezioni che il Devoto-Oli indica in riferimento a quel termine penso di aver trovato quella giusta. Poiché spero (e credo) che il portiere rossonero di nascita pompeiana non intendesse con il termine ‘banda’ indicare “un gruppo organizzato di fuorilegge che di solito obbedisce a un capo e si attribuisce una certa autonomia nei confronti della malavita di una città o di un paese”, né tantomeno “compagnia di sonatori di strumenti a fiato e a percussione, formata da militari o civili, che si esibisce in occasione di solennità”, ho pensato che volesse riferirsi a un “gruppo di individui poco raccomandabili o menefreghisti”. E allora mi sono chiesto: ma perché? Capisco la rabbia di aver perso la partita e ci può stare che un calciatore in tali circostanze possa essere particolarmente nervoso. Ho letto da qualche parte che la furia di Donnarumma fosse giustificata dalla mancata concessione del rigore al Milan per il presunto fallo di Bakayoko su Theo Hernandez, ma a questa versione non posso e non voglio credere perché essendo avvenuto il fatto a circa 90 metri di distanza da lui, immagino che in proposito Donnarumma non potesse avere certezze tali da suffragarne la rabbia focosa. E allora? Qualunque cosa possano aver fatto o detto i componenti la panchina del Napoli, il portiere della Nazionale avrebbe fatto bene a contenersi e ad evitare sceneggiate che non gli danno lustro. Capisco che a 22 anni l’esuberanza possa essere tale e tanta da far andare talvolta sopra le righe. Ma Donnarumma è un professionista, ormai da molti anni, e certe licenze non può prendersele. Se poi, come ha fatto qualcuno sui social, si pensa che la reazione scomposta sia stata provocata da un astio personale che Donnarumma nutre nei confronti del Napoli e dei napoletani, beh allora dico che io non ci credo. Fin quando si trattava di prendere in giro lo zio, tifoso azzurro, come fece nel celebre post pubblicato nel 2018 all’indomani di un Milan-Napoli in cui negò nei minuti finali il gol a Milik con una formidabile parata, frutto del suo eccezionale talento di portiere, ci può stare. Ma credere che un ragazzo cresciuto nelle campagne di Pompei possa nutrire tanto astio nei confronti della squadra di calcio espressione della sua terra natia, non è possibile. E allora, Gigio, un po’ più di calma e di tranquillità. E ricordati sempre, anche quando le partite finiscono con una sconfitta, che sei il portiere della Nazionale, che rappresenti l’Italia e che per quanto emigrato a Milano, rimani un figlio di questa terra, dove la gente ti vuole bene e te ne vorrà sempre, anche se indossi la casacca…sbagliata.

 

 

Mario Zaccaria

 

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