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L'APPUNTO - Nunzia Marciano su "NM": "Napoli, parliamo d’altro?"
19.01.2020 17:16 di Napoli Magazine

NAPOLI - Di che parliamo? Perché di calcio, no, è chiaro. Del Napoli anche meno. Perciò, di che vogliamo parlare? Ammesso che parole ce ne siano ancora. Un attimo... Qualcuna forse è rimasta, in ordine alfabetico. Angoscia alla fine di ogni partita. Barlumi di speranza in frantumi. Calcio, di cui a Napoli s’è persa ogni traccia. Diego, quello là di un tempo. Tempo troppo lontano. Emozioni, lontane come i ricordi del bel calcio andato. Fiorentina, laddove si perse uno scudetto, stavolta si è persa qualunque dignità. Gattuso: e qui si apre un mondo, che si chiude nel suo tono di chi chiede scusa. H, l’hotel, di cui qualche anno fa si parlò. Insigne, che una volta era un capitano che veniva seguito. Una volta, appunto. Lacrime, quelle di disperazione di un bambino dagli occhi blu e che rappresentano le lacrime di una città. Milik che una volta era la svolta. Napoli, città, Napoli, squadra, Napoli come l’amore che univa la prima alla seconda, e che adesso non unisce ma separa, amaramente, e amaramente viene fischiata. Occasioni, quelle mancate, tutte per risalire una china ormai troppo in pendenza. Pallone, come quello che il Napoli non sa più far girare, se non a suo sfavore. Questa è la situazione, questa è la disperazione, questa è la classifica Restare, andare, combattere, lasciare. I verbi del Napoli sono questi adesso, per chiunque ne indossi la maglia, dentro o fuori da un campo. Sarri. Sì, lui, Sarri. È con lui che si è visto l’ultima volta il calcio spettacolo. Dopo di lui e il suo tradimento, più nulla, nulla che valesse davvero. Tempo. Ecco cosa occorre adesso, tempo. Per riflettere, per decidere, per analizzare e magari per rialzarsi. Unità: di voglia, di obiettivi, di intenti. Unità che si è persa. Vincere. Voglia di vincere, almeno. Voglia di giocarsela, voglia di combattere, voglia di dimostrare qualcosa, voglia di riscattare una stagione fallimentare. Zero, come ciò che vale oggi l’amore dato sinora. Semplicemente. Per ogni lettera ci sarebbe altre 3.000 parole: la A di Ancelotti, allontanato perché considerato lui il problema, la D di De Laurentiis, presidente giudicato e contestato, F di fischi, quelli che hanno accompagnato l’uscita del Napoli dal campo, G di gioco, che non c’è, L di Llorente, S come le scuse che si devono ai tifosi e così via... Tutte le parole di questo mondo si potrebbero usare, in ordine alfabetico, persino. Eppure la voglia di usarle non c’è. Non ci sono davvero parole perché quelle su fermano in gola dalla tristezza malinconica e restano in punta delle dita che digitano senza sapere nemmeno cosa aggiungere perché in certi casi, in questi casi, le parole non servono e il silenzio è tutto ciò che si è disposti ad ascoltare.

 

Nunzia Marciano
 
 
Napoli Magazine
 
 
Riproduzione del testo consentita previa citazione della fonte: www.napolimagazine.com
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L'APPUNTO - Nunzia Marciano su "NM": "Napoli, parliamo d’altro?"

di Napoli Magazine

19/01/2024 - 17:16

NAPOLI - Di che parliamo? Perché di calcio, no, è chiaro. Del Napoli anche meno. Perciò, di che vogliamo parlare? Ammesso che parole ce ne siano ancora. Un attimo... Qualcuna forse è rimasta, in ordine alfabetico. Angoscia alla fine di ogni partita. Barlumi di speranza in frantumi. Calcio, di cui a Napoli s’è persa ogni traccia. Diego, quello là di un tempo. Tempo troppo lontano. Emozioni, lontane come i ricordi del bel calcio andato. Fiorentina, laddove si perse uno scudetto, stavolta si è persa qualunque dignità. Gattuso: e qui si apre un mondo, che si chiude nel suo tono di chi chiede scusa. H, l’hotel, di cui qualche anno fa si parlò. Insigne, che una volta era un capitano che veniva seguito. Una volta, appunto. Lacrime, quelle di disperazione di un bambino dagli occhi blu e che rappresentano le lacrime di una città. Milik che una volta era la svolta. Napoli, città, Napoli, squadra, Napoli come l’amore che univa la prima alla seconda, e che adesso non unisce ma separa, amaramente, e amaramente viene fischiata. Occasioni, quelle mancate, tutte per risalire una china ormai troppo in pendenza. Pallone, come quello che il Napoli non sa più far girare, se non a suo sfavore. Questa è la situazione, questa è la disperazione, questa è la classifica Restare, andare, combattere, lasciare. I verbi del Napoli sono questi adesso, per chiunque ne indossi la maglia, dentro o fuori da un campo. Sarri. Sì, lui, Sarri. È con lui che si è visto l’ultima volta il calcio spettacolo. Dopo di lui e il suo tradimento, più nulla, nulla che valesse davvero. Tempo. Ecco cosa occorre adesso, tempo. Per riflettere, per decidere, per analizzare e magari per rialzarsi. Unità: di voglia, di obiettivi, di intenti. Unità che si è persa. Vincere. Voglia di vincere, almeno. Voglia di giocarsela, voglia di combattere, voglia di dimostrare qualcosa, voglia di riscattare una stagione fallimentare. Zero, come ciò che vale oggi l’amore dato sinora. Semplicemente. Per ogni lettera ci sarebbe altre 3.000 parole: la A di Ancelotti, allontanato perché considerato lui il problema, la D di De Laurentiis, presidente giudicato e contestato, F di fischi, quelli che hanno accompagnato l’uscita del Napoli dal campo, G di gioco, che non c’è, L di Llorente, S come le scuse che si devono ai tifosi e così via... Tutte le parole di questo mondo si potrebbero usare, in ordine alfabetico, persino. Eppure la voglia di usarle non c’è. Non ci sono davvero parole perché quelle su fermano in gola dalla tristezza malinconica e restano in punta delle dita che digitano senza sapere nemmeno cosa aggiungere perché in certi casi, in questi casi, le parole non servono e il silenzio è tutto ciò che si è disposti ad ascoltare.

 

Nunzia Marciano
 
 
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