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LO STUDIO - Scoperta una cavità sotto i Campi Flegrei: nuova luce sulla gestione dei rischi
05.08.2025 12:23 di Napoli Magazine

Risuona nello stesso modo dal 2018, è così che un team internazionale guidato dall’Università di Pisa ha scoperto una cavità nascosta sotto i Campi Flegrei a 3,6 km di profondità, relativamente vicina alla superficie. La ricerca, pubblicata su Nature Communications Earth and Environment e frutto di una collaborazione con l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e il GFZ Helmholtz Centre for Geosciences di Potsdam, apre nuove prospettive per comprendere l’evoluzione del sistema vulcanico e valutare meglio i rischi associati. La cavità individuata per la prima volta mette in comunicazione il serbatoio profondo responsabile del sollevamento del suolo con le fumarole superficiali di Solfatara e Pisciarelli. E’ lunga circa un chilometro, larga circa 650 metri con uno spessore medio di 35 centimetri e un volume complessivo intorno ai 220.000 metri cubi. Le analisi non ha rivelato con certezza il contenuto forse gas ad alta pressione o fluidi magmatici.

“Abbiamo individuato la cavità grazie all’analisi di segnali sismici di lunghissimo periodo (VLP) - spiega Giacomo Rapagnani, dottorando dell’Università di Pisa e e primo autore dello studio – Questa struttura risuona sempre alla stessa frequenza (0,114 Hz) da almeno sette anni, segno che le sue dimensioni e la sua composizione sono rimaste stabili nel tempo, si tratta di un indizio prezioso per comprendere come si evolvono i flussi di fluidi nel sottosuolo e individuare eventuali segnali di variazione strutturale che potrebbero indicare un aumento del rischio vulcanico”.

I Campi Flegrei, situati nel Golfo di Napoli, sono tra i complessi vulcanici più monitorati al mondo. Dal 2005 l’area è interessata da una nuova fase di sollevamento del suolo, nota come bradisisma, accompagnata da terremoti di intensità crescente. L’evento sismico più forte, di magnitudo Md 4.6, è avvenuto il 30 giugno 2025. “Abbiamo analizzato oltre cento terremoti avvenuti dal 2018 a oggi - continua Rapagnani – è così emerso che in coincidenza con i terremoti più intensi si attiva una “risonanza” a bassa frequenza che ha rilevato appunto l’esistenza della frattura. È un comportamento simile a quello osservato in altri vulcani attivi, ma mai documentato prima nei Campi Flegrei”.

“Questo studio evidenzia come lo sviluppo e l’applicazione di tecniche sofisticate per l’analisi dei dati sismologici siano fondamentali per comprendere a fondo processi geofisici complessi, come i terremoti e le eruzioni vulcaniche - aggiunge Francesco Grigoli coautore dell’articolo e professore di Geofisica dell’Università di Pisa - Solo spingendo al limite le nostre capacità di analizzare grandi quantità di dati eterogenei possiamo migliorare la comprensione di questi fenomeni e mitigare con maggiore efficacia i rischi a essi associati”. Lo studio è frutto della collaborazione tra l’Università di Pisa, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e il GFZ Helmholtz Centre for Geosciences di Potsdam (Germania). Gli autori sono Giacomo Rapagnani, Simone Cesca, Gilberto Saccorotti, Gesa Petersen, Torsten Dahm, Francesca Bianco e Francesco Grigoli.

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LO STUDIO - Scoperta una cavità sotto i Campi Flegrei: nuova luce sulla gestione dei rischi

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05/08/2025 - 12:23

Risuona nello stesso modo dal 2018, è così che un team internazionale guidato dall’Università di Pisa ha scoperto una cavità nascosta sotto i Campi Flegrei a 3,6 km di profondità, relativamente vicina alla superficie. La ricerca, pubblicata su Nature Communications Earth and Environment e frutto di una collaborazione con l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e il GFZ Helmholtz Centre for Geosciences di Potsdam, apre nuove prospettive per comprendere l’evoluzione del sistema vulcanico e valutare meglio i rischi associati. La cavità individuata per la prima volta mette in comunicazione il serbatoio profondo responsabile del sollevamento del suolo con le fumarole superficiali di Solfatara e Pisciarelli. E’ lunga circa un chilometro, larga circa 650 metri con uno spessore medio di 35 centimetri e un volume complessivo intorno ai 220.000 metri cubi. Le analisi non ha rivelato con certezza il contenuto forse gas ad alta pressione o fluidi magmatici.

“Abbiamo individuato la cavità grazie all’analisi di segnali sismici di lunghissimo periodo (VLP) - spiega Giacomo Rapagnani, dottorando dell’Università di Pisa e e primo autore dello studio – Questa struttura risuona sempre alla stessa frequenza (0,114 Hz) da almeno sette anni, segno che le sue dimensioni e la sua composizione sono rimaste stabili nel tempo, si tratta di un indizio prezioso per comprendere come si evolvono i flussi di fluidi nel sottosuolo e individuare eventuali segnali di variazione strutturale che potrebbero indicare un aumento del rischio vulcanico”.

I Campi Flegrei, situati nel Golfo di Napoli, sono tra i complessi vulcanici più monitorati al mondo. Dal 2005 l’area è interessata da una nuova fase di sollevamento del suolo, nota come bradisisma, accompagnata da terremoti di intensità crescente. L’evento sismico più forte, di magnitudo Md 4.6, è avvenuto il 30 giugno 2025. “Abbiamo analizzato oltre cento terremoti avvenuti dal 2018 a oggi - continua Rapagnani – è così emerso che in coincidenza con i terremoti più intensi si attiva una “risonanza” a bassa frequenza che ha rilevato appunto l’esistenza della frattura. È un comportamento simile a quello osservato in altri vulcani attivi, ma mai documentato prima nei Campi Flegrei”.

“Questo studio evidenzia come lo sviluppo e l’applicazione di tecniche sofisticate per l’analisi dei dati sismologici siano fondamentali per comprendere a fondo processi geofisici complessi, come i terremoti e le eruzioni vulcaniche - aggiunge Francesco Grigoli coautore dell’articolo e professore di Geofisica dell’Università di Pisa - Solo spingendo al limite le nostre capacità di analizzare grandi quantità di dati eterogenei possiamo migliorare la comprensione di questi fenomeni e mitigare con maggiore efficacia i rischi a essi associati”. Lo studio è frutto della collaborazione tra l’Università di Pisa, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e il GFZ Helmholtz Centre for Geosciences di Potsdam (Germania). Gli autori sono Giacomo Rapagnani, Simone Cesca, Gilberto Saccorotti, Gesa Petersen, Torsten Dahm, Francesca Bianco e Francesco Grigoli.