Cultura & Gossip
CULTURA - "Il canto della Sirena", seminari napoletani di letteratura umanistica e rinascimentale
27.04.2015 12:18 di Napoli Magazine

Si terrà giovedì 30 aprile (ore 15.30, Dipartimento di Studi Umanistici – Università di Napoli Federico II, aula F) il primo incontro di un ciclo seminariale (Il canto della Sirena. Seminari napoletani di letteratura umanistica e rinascimentale), curato dai docenti dell’Università Federico II Giuseppe Germano, Antonietta Iacono e Pasquale Sabbatino insieme a giovani studiosi (Vincenzo Caputo, Gianluca del Noce, Vera Tufano). La lezione d’apertura, tenuta da Vincenzo Caputo, è dedicata alla parentesi partenopea dell’artista aretino Giorgio Vasari («Svegliare gl’ingegni di quel paese». Giorgio Vasari e Napoli, questo il tiolo dell’intervento).

 

«Simbolo di tradizione sapienziale e richiamo alle origini greche della città – dichiarano Germano, Iacono e Sabbatino – il mito di Partenope, la sirena sul cui sepolcro sarebbe sorta la città di Napoli, rappresentò uno dei principali fattori identitari per i protagonisti dell’Umanesimo e del Rinascimento napoletano. Questo ciclo di seminari, i cui incontri avverranno l’ultimo giovedì di ogni mese, intende mettere in luce e valorizzare caratteri, aspetti e contenuti della cultura umanistico-rinascimentale di ambito partenopeo e, più in generale, meridionale, avvalendosi della partecipazione di esperti e studiosi del settore». È in questo discorso che si colloca la riflessione sul pittore Vasari, il quale sostò nella città di Napoli all’altezza del 1544.

 

Prima di divenire l’artista rappresentativo della Firenze di Cosimo I, l’Aretino sostò circa un anno nell’ex capitale aragonese, chiamato dal generale dei monaci di Monte Oliveto a decorare il refettorio del monastero, annesso all’odierna chiesa di Sant’Anna dei Lombardi. Il pittore rinascimentale fu sul punto di rifiutare il lavoro, dal momento che da esso avrebbe acquisito pochissimo onore. Alla fine, pressato, accettò la commissione con l’intenzione di lavorare a stucco tutte le volte del refettorio, per inserire «partimenti di maniera moderna» ed eliminare “vecchiaia” e “goffezza”. «Nel redigere la propria autobiografia – sottolinea Caputo – Vasari ricordò il soggiorno napoletano, dichiarando esplicitamente che “dopo Giotto, non era stato insino allora in sì nobile e gran città maestri che in pittura avessino fatto alcuna cosa d’importanza”. Agli occhi del “forestiero” Napoli appare, quindi, città artisticamente arretrata, nei confronti della quale egli si pone come un sicuro punto di riferimento».

 

Nonostante gli alti guadagni e i numerosi incarichi, Vasari è improvvisamente costretto a partire. A causare questa partenza è la bagarre della Napoli cinquecentesca. Quando gli uomini del vicerè don Pedro giungono al monastero con intenzioni poco amichevoli nei confronti dell’abate e di alcuni monaci, quest’ultimi oppongono resistenza appoggiati dall’ardore e dall’esuberanza dei giovani aiutanti del Vasari, i quali finiscono addirittura per ferire alcuni “birri”. «Giudicai, poi che i miei uomini s’erano partiti, che fusse ben fatto […] ch’io me ne tornassi a Roma», così si conclude la parentesi napoletana di Giorgio Vasari

 

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CULTURA - "Il canto della Sirena", seminari napoletani di letteratura umanistica e rinascimentale

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27/04/2024 - 12:18

Si terrà giovedì 30 aprile (ore 15.30, Dipartimento di Studi Umanistici – Università di Napoli Federico II, aula F) il primo incontro di un ciclo seminariale (Il canto della Sirena. Seminari napoletani di letteratura umanistica e rinascimentale), curato dai docenti dell’Università Federico II Giuseppe Germano, Antonietta Iacono e Pasquale Sabbatino insieme a giovani studiosi (Vincenzo Caputo, Gianluca del Noce, Vera Tufano). La lezione d’apertura, tenuta da Vincenzo Caputo, è dedicata alla parentesi partenopea dell’artista aretino Giorgio Vasari («Svegliare gl’ingegni di quel paese». Giorgio Vasari e Napoli, questo il tiolo dell’intervento).

 

«Simbolo di tradizione sapienziale e richiamo alle origini greche della città – dichiarano Germano, Iacono e Sabbatino – il mito di Partenope, la sirena sul cui sepolcro sarebbe sorta la città di Napoli, rappresentò uno dei principali fattori identitari per i protagonisti dell’Umanesimo e del Rinascimento napoletano. Questo ciclo di seminari, i cui incontri avverranno l’ultimo giovedì di ogni mese, intende mettere in luce e valorizzare caratteri, aspetti e contenuti della cultura umanistico-rinascimentale di ambito partenopeo e, più in generale, meridionale, avvalendosi della partecipazione di esperti e studiosi del settore». È in questo discorso che si colloca la riflessione sul pittore Vasari, il quale sostò nella città di Napoli all’altezza del 1544.

 

Prima di divenire l’artista rappresentativo della Firenze di Cosimo I, l’Aretino sostò circa un anno nell’ex capitale aragonese, chiamato dal generale dei monaci di Monte Oliveto a decorare il refettorio del monastero, annesso all’odierna chiesa di Sant’Anna dei Lombardi. Il pittore rinascimentale fu sul punto di rifiutare il lavoro, dal momento che da esso avrebbe acquisito pochissimo onore. Alla fine, pressato, accettò la commissione con l’intenzione di lavorare a stucco tutte le volte del refettorio, per inserire «partimenti di maniera moderna» ed eliminare “vecchiaia” e “goffezza”. «Nel redigere la propria autobiografia – sottolinea Caputo – Vasari ricordò il soggiorno napoletano, dichiarando esplicitamente che “dopo Giotto, non era stato insino allora in sì nobile e gran città maestri che in pittura avessino fatto alcuna cosa d’importanza”. Agli occhi del “forestiero” Napoli appare, quindi, città artisticamente arretrata, nei confronti della quale egli si pone come un sicuro punto di riferimento».

 

Nonostante gli alti guadagni e i numerosi incarichi, Vasari è improvvisamente costretto a partire. A causare questa partenza è la bagarre della Napoli cinquecentesca. Quando gli uomini del vicerè don Pedro giungono al monastero con intenzioni poco amichevoli nei confronti dell’abate e di alcuni monaci, quest’ultimi oppongono resistenza appoggiati dall’ardore e dall’esuberanza dei giovani aiutanti del Vasari, i quali finiscono addirittura per ferire alcuni “birri”. «Giudicai, poi che i miei uomini s’erano partiti, che fusse ben fatto […] ch’io me ne tornassi a Roma», così si conclude la parentesi napoletana di Giorgio Vasari