I gravissimi infortuni del centrocampista del Milan Riccardo Montolivo e del centravanti polacco del Napoli Arek Milik durante le gare di qualificazione a Russia 2018 riportano alla ribalta il ruolo (forse anacronistico) delle Nazionali nel calcio industriale del XXI secolo e il problema di una diversa disciplina delle loro attività.
Non c’è dubbio che nello sviluppo del Calcio moderno le Nazionali abbiano avuto un ruolo fondamentale. Ma se da un lato appare ancora opportuno salvaguardare il romanticismo e il senso d’identificazione collettiva che esse tramandano, lo è altrettanto tutelare la patrimonializzazione dei club. Gli organici rappresentano spesso l’unico asset su cui le società possono contare (senza stadi o centri sportivi di proprietà) e la loro sopravvivenza finanziaria dipende strettamente dalla difesa del valore dei giocatori tesserati.
Prestarli alle Nazionali comporta una prestazione giuridicamente assurda. I calciatori, in toto lavoratori dipendenti, si trovano a dover svolgere il proprio lavoro per un “datore” diverso da quello effettivo (da cui ricevono lo stipendio) e verso il quale hanno obblighi pubblici di carattere federale. Peraltro, se paragonassimo i calciatori a “macchine” capaci di svolgere in una certa attività d’impresa, quella dell’entertainment sportivo, determinate prestazioni, “date in prestito” da un’azienda a un’altra, ci troveremmo di fronte a un’altra assurdità: e, cioè, al fatto che a differenza delle apparecchiature che possono essere riparate e sostituite, nel caso dei calciatori, ci troviamo di fronte a macchine infungibili, uniche e di fatto insostituibili.
Queste due considerazioni portano a ritenere assolutamente incongruo il corrispettivo che le Federazioni pagano per poter impiegare i calciatori dei club. I premi che Fifa e Uefa riconoscono alle società per i grandi eventi che si svolgono sotto la loro egida e gli indennizzi in caso di infortuni non sono commisurabili ai danni prodotti alle società.
Fino al 2012 la normativa Fifa, peraltro, imponeva alle stesse società di assicurare i calciatori per le partite in nazionale. Una delle prime squadre a ribellarsi a questa prescrizione fu la Lazio di Sergio Cragnotti che dopo l’incidente occorso ad Alessandro Nesta al Mondiale 1998 fece causa alla Figc per 13 miliardi di lire. Dopo il caso Nesta e altri che ne seguirono, come quello scoppiato nel 2010 tra il Bayern Monaco e la Federazione olandese per Arjen Robben, e una lunga battaglia condotta dall’Eca presieduta da Karl Heinz Rummenigge, la Federazione internazionale guidata da Blatter ha dato vita al Club Protection Programme.
L’assicurazione della Fifa contro gli infortuni in nazionale approvata l’8 giugno del 2012 e ora prorogata fino al 2018 con uno stanziamento annuale di 80 milioni di euro, prevede che per ogni giocatore infortunato sia versato un rimborso calcolato dividendo lo stipendio lordo per 365 e poi moltiplicando per i giorni di assenza per infortunio (con una «franchigia» dei primi 28 giorni di stop). L’indennità quindi non può superare i 7,5 milioni annuali e i 20.548 euro giornalieri (per Montolivo in pratica il Milan riceverà un indennizzo fino a 1,5 milioni e per Milik il Napoli fino a 1 milione).
A parte la beffa per i club che devono riaccogliere infortunati “lievi” con prognosi inferiore ai 28 giorni che non prendono un euro (salve le assicurazioni private) bisogna constatare come si tratti di risarcimenti minimi rispetto al danno reale e potenziale. Il Napoli, ad esempio, qualora Milik non si riprendesse completamente dall’intervento chirurgico si vedrebbe deteriorato un investimento da 32 milioni di euro. Inoltre, perdendo il suo attaccante principe per gran parte dell’anno, potrebbe vedersi pregiudicata la corsa ai traguardi stagionali. Chi e come ripagherebbe il club di De Laurentiis della mancata qualificazione in Champions, ad esempio, e del venir meno di introiti per 30/40 milioni di euro?
Certo essere convocati in nazionale dà prestigio al club e ai convocati aumentandone il valore sul mercato. Ma questo era più vero qualche tempo fa che oggi, quando la trasmissione globale dei match permette anche a giocatori che non frequentano le Nazionali di mettersi in mostra e veder lievitare il prezzo del proprio cartellino.
Altro elemento sensibile su cui riflettere concerne l’ingolfamento del calendario. Fifa e Uefa stanno sempre di più allargando le competizioni. Si parla di un Mondiale a 48 squadre, dopo l’Europeo a 24, e di nuovi tornei tra nazionali negli anni dispari per incrementare gli introiti delle Federazioni. Tutto ciò comporta una moltiplicazione dei rischi di guai muscolari o traumatici. Che senso hanno poi il turn over e la pianificazione di riposi e allenamenti nei club, se poi i migliori giocatori chiamati in Nazionale sono sottoposti a sforzi extra e a metodologie di preparazione del tutto differenti?
Per debellare quello che molti hanno già ribattezzato come il Virus Fifa, per evidenziare come le nazionali restituiscano sempre più di frequente giocatori claudicanti, è indispensabile ripensare il modello di cooperazione club-Nazionali. Un fattore di cambiamento potrebbe essere quello di concentrare, come in altri sport, gli eventi per le Nazionali in un solo mese, magari in estate dopo la fine dei campionati. Questo soprattutto per le gare di qualificazione e almeno quando in campo sono impegnate le Nazionali con il ranking più alto.
Dal punto di vista di club e giocatori, inoltre, si dovrebbe studiare il modo per rendere progressivamente facoltativa la risposta alle convocazioni. Dovrebbe essere una scelta dei giocatori, d’accordo con i club, quella di partecipare alle gare della Nazionale (anziché affidarsi magari a diplomatici certificati medici). Eventualmente limitando l’obbligo di risposta affermativa alla convocazione a due, tre volte a stagione. Percorrere queste o altre strade appare davvero utile per rasserenare il clima e non far tramutare il Virus Fifa in un male deleterio per il calcio delle Nazionali.
di Napoli Magazine
11/10/2016 - 18:11
I gravissimi infortuni del centrocampista del Milan Riccardo Montolivo e del centravanti polacco del Napoli Arek Milik durante le gare di qualificazione a Russia 2018 riportano alla ribalta il ruolo (forse anacronistico) delle Nazionali nel calcio industriale del XXI secolo e il problema di una diversa disciplina delle loro attività.
Non c’è dubbio che nello sviluppo del Calcio moderno le Nazionali abbiano avuto un ruolo fondamentale. Ma se da un lato appare ancora opportuno salvaguardare il romanticismo e il senso d’identificazione collettiva che esse tramandano, lo è altrettanto tutelare la patrimonializzazione dei club. Gli organici rappresentano spesso l’unico asset su cui le società possono contare (senza stadi o centri sportivi di proprietà) e la loro sopravvivenza finanziaria dipende strettamente dalla difesa del valore dei giocatori tesserati.
Prestarli alle Nazionali comporta una prestazione giuridicamente assurda. I calciatori, in toto lavoratori dipendenti, si trovano a dover svolgere il proprio lavoro per un “datore” diverso da quello effettivo (da cui ricevono lo stipendio) e verso il quale hanno obblighi pubblici di carattere federale. Peraltro, se paragonassimo i calciatori a “macchine” capaci di svolgere in una certa attività d’impresa, quella dell’entertainment sportivo, determinate prestazioni, “date in prestito” da un’azienda a un’altra, ci troveremmo di fronte a un’altra assurdità: e, cioè, al fatto che a differenza delle apparecchiature che possono essere riparate e sostituite, nel caso dei calciatori, ci troviamo di fronte a macchine infungibili, uniche e di fatto insostituibili.
Queste due considerazioni portano a ritenere assolutamente incongruo il corrispettivo che le Federazioni pagano per poter impiegare i calciatori dei club. I premi che Fifa e Uefa riconoscono alle società per i grandi eventi che si svolgono sotto la loro egida e gli indennizzi in caso di infortuni non sono commisurabili ai danni prodotti alle società.
Fino al 2012 la normativa Fifa, peraltro, imponeva alle stesse società di assicurare i calciatori per le partite in nazionale. Una delle prime squadre a ribellarsi a questa prescrizione fu la Lazio di Sergio Cragnotti che dopo l’incidente occorso ad Alessandro Nesta al Mondiale 1998 fece causa alla Figc per 13 miliardi di lire. Dopo il caso Nesta e altri che ne seguirono, come quello scoppiato nel 2010 tra il Bayern Monaco e la Federazione olandese per Arjen Robben, e una lunga battaglia condotta dall’Eca presieduta da Karl Heinz Rummenigge, la Federazione internazionale guidata da Blatter ha dato vita al Club Protection Programme.
L’assicurazione della Fifa contro gli infortuni in nazionale approvata l’8 giugno del 2012 e ora prorogata fino al 2018 con uno stanziamento annuale di 80 milioni di euro, prevede che per ogni giocatore infortunato sia versato un rimborso calcolato dividendo lo stipendio lordo per 365 e poi moltiplicando per i giorni di assenza per infortunio (con una «franchigia» dei primi 28 giorni di stop). L’indennità quindi non può superare i 7,5 milioni annuali e i 20.548 euro giornalieri (per Montolivo in pratica il Milan riceverà un indennizzo fino a 1,5 milioni e per Milik il Napoli fino a 1 milione).
A parte la beffa per i club che devono riaccogliere infortunati “lievi” con prognosi inferiore ai 28 giorni che non prendono un euro (salve le assicurazioni private) bisogna constatare come si tratti di risarcimenti minimi rispetto al danno reale e potenziale. Il Napoli, ad esempio, qualora Milik non si riprendesse completamente dall’intervento chirurgico si vedrebbe deteriorato un investimento da 32 milioni di euro. Inoltre, perdendo il suo attaccante principe per gran parte dell’anno, potrebbe vedersi pregiudicata la corsa ai traguardi stagionali. Chi e come ripagherebbe il club di De Laurentiis della mancata qualificazione in Champions, ad esempio, e del venir meno di introiti per 30/40 milioni di euro?
Certo essere convocati in nazionale dà prestigio al club e ai convocati aumentandone il valore sul mercato. Ma questo era più vero qualche tempo fa che oggi, quando la trasmissione globale dei match permette anche a giocatori che non frequentano le Nazionali di mettersi in mostra e veder lievitare il prezzo del proprio cartellino.
Altro elemento sensibile su cui riflettere concerne l’ingolfamento del calendario. Fifa e Uefa stanno sempre di più allargando le competizioni. Si parla di un Mondiale a 48 squadre, dopo l’Europeo a 24, e di nuovi tornei tra nazionali negli anni dispari per incrementare gli introiti delle Federazioni. Tutto ciò comporta una moltiplicazione dei rischi di guai muscolari o traumatici. Che senso hanno poi il turn over e la pianificazione di riposi e allenamenti nei club, se poi i migliori giocatori chiamati in Nazionale sono sottoposti a sforzi extra e a metodologie di preparazione del tutto differenti?
Per debellare quello che molti hanno già ribattezzato come il Virus Fifa, per evidenziare come le nazionali restituiscano sempre più di frequente giocatori claudicanti, è indispensabile ripensare il modello di cooperazione club-Nazionali. Un fattore di cambiamento potrebbe essere quello di concentrare, come in altri sport, gli eventi per le Nazionali in un solo mese, magari in estate dopo la fine dei campionati. Questo soprattutto per le gare di qualificazione e almeno quando in campo sono impegnate le Nazionali con il ranking più alto.
Dal punto di vista di club e giocatori, inoltre, si dovrebbe studiare il modo per rendere progressivamente facoltativa la risposta alle convocazioni. Dovrebbe essere una scelta dei giocatori, d’accordo con i club, quella di partecipare alle gare della Nazionale (anziché affidarsi magari a diplomatici certificati medici). Eventualmente limitando l’obbligo di risposta affermativa alla convocazione a due, tre volte a stagione. Percorrere queste o altre strade appare davvero utile per rasserenare il clima e non far tramutare il Virus Fifa in un male deleterio per il calcio delle Nazionali.