NAPOLI - Gli apodos (soprannomi, tradotto in italiano) non sono un semplice nomignolo attribuito a una nicchia di persone, ma, in alcuni paesi, specie in Sudamerica, sono una vera e propria investitura, un marchio che segna e identifica la vita di un uomo o, in questo caso, di un’atleta. In Argentina, ad esempio, non c’è calciatore e persona inerente al mondo dello sport che non abbia il suo personalissimo apodo. I soprannomi sono decisamente una cosa seria per i supporters dell’Albiceleste e donano una dimensione quasi epica alla carriera o alle caratteristiche tecniche o fisiche di colui che è fregiato di questo “nomignolo”. Avere il proprio apodo, dunque, è una sorta di rito d’iniziazione, un nuovo battesimo che ti consacra nell’antologia del calcio sudamericano ed è favoloso scoprire dettagli e motivazioni che hanno portato quel determinato giocatore a essere identificato con quel soprannome. L’Argentina finalista del Mondiale di Qatar 2022 è proprio una di quelle squadre in cui gli apodi nascono da magnifici ragionamenti, non per forza spiegabili per le sole caratteristiche tecniche. Il portiere Emiliano Martinez è chiamato “El Dibu” che è l’abbreviazione di “dibujo”, ovvero un cartone animato che l’argentino amava da piccolo; Enzo Fernandez è ribattezzato “El Musico” per il suo modo di giocare e per una personalità da “direttore d’orchestra”; Marcos Acuna è “El Huevo”, perché l’osservatore che lo scoprì annotò la possibilità che questo ragazzo potesse diventare un crack, alludendo al rumore di un uovo che si schiude; Cristian Romero, infine, viene chiamato “El Cuti”, che per molti è “lenzuolo”, ma in realtà fu dato dalla sorella, vista l’incapacità del difensore di pronunciare correttamente il proprio nome da piccolo. Gli apodos rappresentano al meglio l’ideale della cultura calcistica argentina, perché lasciano trasparire tutta l’inventiva e la poetica che spesso la Seleccion ha provato a tradurre in campo. L’Argentina è una terra che ama il bello, che si sente onorata nell’essere rappresentata da fuoriclasse di pregevole tecnica e che si vanta di aver dato i natali a due mostri sacri come Diego Armando Maradona e Lionel Messi. Nonostante ciò, la selezione di Lionel Scaloni non ha conquistato la finale solo con la bellezza del gioco, ma anche con estrema praticità donata, soprattutto, da un giocatore che ha sorpreso tutti e che è l’antitesi di tutto ciò che è stato detto finora. Alexis Mac Allister non ha un cognome propriamente argentino e il portamento in campo, per quanto traspiri comunque gran classe, non è esattamente di chi voglia fare della qualità il proprio marchio di fabbrica. Mac Allister ha una storia che potrebbe realmente essere scritta in un libro: il padre giocava a calcio e difendeva i colori dell’Argentina assieme a Maradona, ma non giocò mai un Mondiale, le sue discendenze sono di chiara origine scozzese e a questo ci si aggiunge anche un ulteriore ramo dell’albero genealogico che lo unisce all’Italia, precisamente al Molise. Il 23enne Alexis è nato a Santa Rosa, capoluogo de La Pampa, e nel suo percorso calcistico si è reso disponibile in tutti i ruoli, partendo come attaccante, per poi finire a centrocampo e nella mediana, fino alla chiamata della Premier League, precisamente nel Brighton & Above dove ancora oggi milita. Eppure, nonostante il calciatore si presti a mille spunti, è l’unico nella rosa dell’Argentina a non avere un apodo, perché lo ha rifiutato. “El Colo” era il nomignolo destinato a lui e alludeva al suo colore di capelli tendente al rossiccio, ma Alexis ha fortemente combattuto per farselo togliere. Quella che potrebbe essere una mossa quasi sacrilega nei confronti delle tradizioni argentine, spiega bene il carattere del ragazzo e la sua capacità di essere un calciatore senza fronzoli e di grandissima utilità. Fu Messi a intimare i compagni di non dargli soprannomi e quel gesto aveva l’idea di un’investitura. Il genio, in fondo, riconosce i suoi simili e Messi, quel giorno, capì che quel ragazzo rossiccio gli sarebbe stato utile. Dopo l’Arabia Saudita, Scaloni ha subito capito che era evidente cambiare e l’inserimento di Mac Allister nell’11 titolare è stata la mossa vincente. La qualità non manca al ragazzo militante in Premier League, ma in questo Mondiale ha mostrato tantissime cose che farebbero gola a ogni club europeo. L’intelligenza tattica di Mac Allister è disarmante, funge da molla con i suoi inserimenti e i suoi ripiegamenti difensivi e ricuce ogni spazio che può sembrare libero. Il calciatore è pratico, applicato in ogni movimento che fa e riesce anche a farsi apprezzare in zona gol, vedi la realizzazione contro la Polonia. Con la sua sensibilità tattica e la qualità di Enzo Fernandez, l’Argentina ha cambiato radicalmente tono, diventando una squadra intelligente e mortifera nelle ripartenze. Mac Allister è un argentino imperfetto: un po’ scozzese e un po’italiano, di buona qualità, ma soprattutto di grande senso tattico. Alexis è un ragazzo pragmatico che esprime il meglio di sé in un contesto di gioco che gli permette di palleggiare e di dare equilibrio alla manovra. Chiamatelo solo “Alex” e non dategli ulteriori soprannomi perché non ne ha bisogno. Ciò che sa fare lo dimostra già in campo, lasciando tutti a bocca aperta.
Emanuele Petrarca
Napoli Magazine
Riproduzione del testo consentita previa citazione della fonte: www.napolimagazine.com
di Napoli Magazine
17/12/2022 - 09:29
NAPOLI - Gli apodos (soprannomi, tradotto in italiano) non sono un semplice nomignolo attribuito a una nicchia di persone, ma, in alcuni paesi, specie in Sudamerica, sono una vera e propria investitura, un marchio che segna e identifica la vita di un uomo o, in questo caso, di un’atleta. In Argentina, ad esempio, non c’è calciatore e persona inerente al mondo dello sport che non abbia il suo personalissimo apodo. I soprannomi sono decisamente una cosa seria per i supporters dell’Albiceleste e donano una dimensione quasi epica alla carriera o alle caratteristiche tecniche o fisiche di colui che è fregiato di questo “nomignolo”. Avere il proprio apodo, dunque, è una sorta di rito d’iniziazione, un nuovo battesimo che ti consacra nell’antologia del calcio sudamericano ed è favoloso scoprire dettagli e motivazioni che hanno portato quel determinato giocatore a essere identificato con quel soprannome. L’Argentina finalista del Mondiale di Qatar 2022 è proprio una di quelle squadre in cui gli apodi nascono da magnifici ragionamenti, non per forza spiegabili per le sole caratteristiche tecniche. Il portiere Emiliano Martinez è chiamato “El Dibu” che è l’abbreviazione di “dibujo”, ovvero un cartone animato che l’argentino amava da piccolo; Enzo Fernandez è ribattezzato “El Musico” per il suo modo di giocare e per una personalità da “direttore d’orchestra”; Marcos Acuna è “El Huevo”, perché l’osservatore che lo scoprì annotò la possibilità che questo ragazzo potesse diventare un crack, alludendo al rumore di un uovo che si schiude; Cristian Romero, infine, viene chiamato “El Cuti”, che per molti è “lenzuolo”, ma in realtà fu dato dalla sorella, vista l’incapacità del difensore di pronunciare correttamente il proprio nome da piccolo. Gli apodos rappresentano al meglio l’ideale della cultura calcistica argentina, perché lasciano trasparire tutta l’inventiva e la poetica che spesso la Seleccion ha provato a tradurre in campo. L’Argentina è una terra che ama il bello, che si sente onorata nell’essere rappresentata da fuoriclasse di pregevole tecnica e che si vanta di aver dato i natali a due mostri sacri come Diego Armando Maradona e Lionel Messi. Nonostante ciò, la selezione di Lionel Scaloni non ha conquistato la finale solo con la bellezza del gioco, ma anche con estrema praticità donata, soprattutto, da un giocatore che ha sorpreso tutti e che è l’antitesi di tutto ciò che è stato detto finora. Alexis Mac Allister non ha un cognome propriamente argentino e il portamento in campo, per quanto traspiri comunque gran classe, non è esattamente di chi voglia fare della qualità il proprio marchio di fabbrica. Mac Allister ha una storia che potrebbe realmente essere scritta in un libro: il padre giocava a calcio e difendeva i colori dell’Argentina assieme a Maradona, ma non giocò mai un Mondiale, le sue discendenze sono di chiara origine scozzese e a questo ci si aggiunge anche un ulteriore ramo dell’albero genealogico che lo unisce all’Italia, precisamente al Molise. Il 23enne Alexis è nato a Santa Rosa, capoluogo de La Pampa, e nel suo percorso calcistico si è reso disponibile in tutti i ruoli, partendo come attaccante, per poi finire a centrocampo e nella mediana, fino alla chiamata della Premier League, precisamente nel Brighton & Above dove ancora oggi milita. Eppure, nonostante il calciatore si presti a mille spunti, è l’unico nella rosa dell’Argentina a non avere un apodo, perché lo ha rifiutato. “El Colo” era il nomignolo destinato a lui e alludeva al suo colore di capelli tendente al rossiccio, ma Alexis ha fortemente combattuto per farselo togliere. Quella che potrebbe essere una mossa quasi sacrilega nei confronti delle tradizioni argentine, spiega bene il carattere del ragazzo e la sua capacità di essere un calciatore senza fronzoli e di grandissima utilità. Fu Messi a intimare i compagni di non dargli soprannomi e quel gesto aveva l’idea di un’investitura. Il genio, in fondo, riconosce i suoi simili e Messi, quel giorno, capì che quel ragazzo rossiccio gli sarebbe stato utile. Dopo l’Arabia Saudita, Scaloni ha subito capito che era evidente cambiare e l’inserimento di Mac Allister nell’11 titolare è stata la mossa vincente. La qualità non manca al ragazzo militante in Premier League, ma in questo Mondiale ha mostrato tantissime cose che farebbero gola a ogni club europeo. L’intelligenza tattica di Mac Allister è disarmante, funge da molla con i suoi inserimenti e i suoi ripiegamenti difensivi e ricuce ogni spazio che può sembrare libero. Il calciatore è pratico, applicato in ogni movimento che fa e riesce anche a farsi apprezzare in zona gol, vedi la realizzazione contro la Polonia. Con la sua sensibilità tattica e la qualità di Enzo Fernandez, l’Argentina ha cambiato radicalmente tono, diventando una squadra intelligente e mortifera nelle ripartenze. Mac Allister è un argentino imperfetto: un po’ scozzese e un po’italiano, di buona qualità, ma soprattutto di grande senso tattico. Alexis è un ragazzo pragmatico che esprime il meglio di sé in un contesto di gioco che gli permette di palleggiare e di dare equilibrio alla manovra. Chiamatelo solo “Alex” e non dategli ulteriori soprannomi perché non ne ha bisogno. Ciò che sa fare lo dimostra già in campo, lasciando tutti a bocca aperta.
Emanuele Petrarca
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