Città invasa da tifosi, strade trasformate in stadi, fiumi di gente, bottiglie, cori, bandiere e chili di immondizia. Eppure – e qui viene il bello – la città era pulita. Non ovunque, certo, ma molto più di quanto ci si sarebbe aspettati da un evento di proporzioni bibliche. E allora Enrico Ditto, imprenditore campano attivo sul territorio e voce autorevole sui temi dello sviluppo urbano, si fa una domanda e la rilancia come una bottiglia nel cassonetto giusto: “Se con lo scudetto Napoli è riuscita a non sprofondare nella sporcizia e nel degrado, a chi deve ringraziare? Gli operatori. Gli uomini. Non il sistema”.
Sì, perché quello che è accaduto durante la festa per il terzo tricolore è sotto gli occhi di tutti: una pulizia rapida, quasi chirurgica, turni massacranti, spirito di sacrificio, competenza. “Il punto è che questi uomini – continua Ditto – non possono continuare a fare miracoli senza strumenti. Siamo ancora aggrappati a impianti vecchi come il Vesuvio e a una logica emergenziale che ci fa inseguire il problema invece di anticiparlo. È come se dessimo a un cardiochirurgo un temperino invece che un bisturi e pretendessimo che salvi vite”.
Secondo Ditto, la gestione dei rifiuti a Napoli e in Campania non può più galleggiare sul talento individuale e sulla buona volontà. Serve una strategia. Una visione. Un piano. “Lo chiedo da imprenditore, ma anche da cittadino: cosa stiamo aspettando per costruire impianti moderni per il trattamento e il riciclo?
Per investire davvero nell’economia circolare? Abbiamo potenziale turistico, commerciale, umano… ma continuiamo a farci bloccare da un sacchetto nero lasciato per strada”.
Non manca un appello al gioco di squadra. Quello vero, non solo da stadio. “Istituzioni, aziende, cittadini. O ci mettiamo tutti intorno a questo tavolo o ci ritroveremo sempre a dover ringraziare gli operatori per averci salvato la faccia. E va bene ringraziarli, ma sarebbe meglio metterli nelle condizioni di lavorare con dignità e strumenti adeguati. Non solo a maggio, ma tutto l’anno”.
“La festa è finita, ma la città resta. E merita di più”, chiude Ditto.
di Napoli Magazine
26/05/2025 - 16:20
Città invasa da tifosi, strade trasformate in stadi, fiumi di gente, bottiglie, cori, bandiere e chili di immondizia. Eppure – e qui viene il bello – la città era pulita. Non ovunque, certo, ma molto più di quanto ci si sarebbe aspettati da un evento di proporzioni bibliche. E allora Enrico Ditto, imprenditore campano attivo sul territorio e voce autorevole sui temi dello sviluppo urbano, si fa una domanda e la rilancia come una bottiglia nel cassonetto giusto: “Se con lo scudetto Napoli è riuscita a non sprofondare nella sporcizia e nel degrado, a chi deve ringraziare? Gli operatori. Gli uomini. Non il sistema”.
Sì, perché quello che è accaduto durante la festa per il terzo tricolore è sotto gli occhi di tutti: una pulizia rapida, quasi chirurgica, turni massacranti, spirito di sacrificio, competenza. “Il punto è che questi uomini – continua Ditto – non possono continuare a fare miracoli senza strumenti. Siamo ancora aggrappati a impianti vecchi come il Vesuvio e a una logica emergenziale che ci fa inseguire il problema invece di anticiparlo. È come se dessimo a un cardiochirurgo un temperino invece che un bisturi e pretendessimo che salvi vite”.
Secondo Ditto, la gestione dei rifiuti a Napoli e in Campania non può più galleggiare sul talento individuale e sulla buona volontà. Serve una strategia. Una visione. Un piano. “Lo chiedo da imprenditore, ma anche da cittadino: cosa stiamo aspettando per costruire impianti moderni per il trattamento e il riciclo?
Per investire davvero nell’economia circolare? Abbiamo potenziale turistico, commerciale, umano… ma continuiamo a farci bloccare da un sacchetto nero lasciato per strada”.
Non manca un appello al gioco di squadra. Quello vero, non solo da stadio. “Istituzioni, aziende, cittadini. O ci mettiamo tutti intorno a questo tavolo o ci ritroveremo sempre a dover ringraziare gli operatori per averci salvato la faccia. E va bene ringraziarli, ma sarebbe meglio metterli nelle condizioni di lavorare con dignità e strumenti adeguati. Non solo a maggio, ma tutto l’anno”.
“La festa è finita, ma la città resta. E merita di più”, chiude Ditto.