M' 'o vveco io
SHOW TIME di GINO RIVIECCIO: "Super Santos... Subito! Altro che Super Tele"
24.04.2014 01:10 di Napoli Magazine

NAPOLI - Se mi domandassero qual è il ricordo più immediato dell’adolescenza non avrei dubbi: le tette di Lucia, compagna di giochi nel quartiere dove abitavo. Lucia non era bella, anzi per molti rappresentava un modello fuori serie, un ritaglio per amatori, di quelli per i quali nessuno spasimerebbe mai. Piuttosto trascurata e anche un pò disordinata nel look nemmeno troppo femminile, indossava quasi sempre un jeans e un maglione rosso a collo alto. Sul viso, del trucco neanche l’ombra: anzi… l’ombretto. Ma aveva una caratteristica che negli adolescenti tuttora rappresenta il massimo: due enormi rotondità, non modellate dalle mani di nessun chirurgo che non ricordavo di aver visto in tutta Napoli e provincia. Due Super Santos, pallone in voga a quel tempo e sogno di tanti bambini ai primi calci. Questo ricordavo al sole della pasquetta dopo una frittatina di maccheroni e un rimasuglio di casatiello. Pensavo che il mio amore per questa memorabile sfera di colore arancione, probabilmente nasce grazie a Lucia che dopo qualche tempo nell’androne della scala fece scoprire al suo Renzo napoletano le prime gioie sessuali. Storiche, indimenticabili, eccitanti quanto quelle di questo pallone che ci faceva sentire piccoli Pelè, provetti Altafini o novelli Jair. Il SuperSantos all’epoca doveva superare la temibile concorrenza di un pericoloso rivale, il Super Tele, bianco con i pentagoni neri che imitava quello autentico di cuoio in uso sui veri campi di calcio. Ma il nostro beniamino, pur costando 50 lire in più, prevaleva per la compattezza e il peso, molto più consistente rispetto al super tele che nelle giornate perturbate diventava la disgrazia degli attaccanti e soprattutto dei portieri che si vedevano deviare la traiettoria da un’improvvisa folata di vento. Il Super Santos era impeccabile. Scoprimmo infatti che era perfettamente sferico a differenza del suo rivale che spesso si presentava con delle ingiustificate protuberanze che diventavano un alibi per i compagni di gioco al momento di un uno stop o di un rimbalzo. Il nostro eroe no. Non ti dava scampo. Persino leggermente sgonfio riusciva a dare soddisfazione sopravvivendo a spigoli acuminati, cancelli appuntiti e persino agli investimenti delle auto in corsa che dopo averlo strapazzato con le ruote anteriori fuggivano senza degnarsi del minimo soccorso. Più di una partita terminava con la sfera arancione afflosciata per via di un rovo di spine adiacente il campetto o di un condomino crudele che infastidito dalle continue pallonate, all’ennesimo tiro fuori bersaglio non esitava a infliggergli tre, quattro, cinque pugnalate. Dove io giocavo, il  terrore non era il portiere avversario, ma il portiere della scala A: Rocco, una specie di orco, un sadico bruto che noi avevamo battezzato RorcoL’assassino si illuminava solo quando riusciva ad appropriarsene e ad accoltellarlo con un cacciavite per poi ricacciarlo con un calcio verso il rettangolo che improvvisavamo tra fioriere e aiuole, con i portoni del palazzo prestati a fare da porta. Ma il glorioso Super Santos, pur gravemente ferito, agonizzante, prima di esalare l’ultimo respiro, sebbene arrancasse, non si arrendeva consentendoci ancora un’incursione sulla fascia o un cross a mezza altezza. Non rimbalzava più, non si sollevava troppo da terra, ma dall’alto della sua nobiltà, ci regalava ancora qualche minuto di gioia e uno sberleffo a Rorco, prima che l’urlo di una mamma che ci intimava di rientrare a studiare, ce lo facesse lanciare proditoriamente verso la strada dove, esanime, cessava il respiro tra le ruote di un auto e un marciapiede. E lì rimaneva anche per giorni. Ancora oggi quando lo vedo penzolante al gancio di un'edicola o di una drogheria, irretito nella sua fierezza, mi sdilinquisco ripensando alle mitiche sfide sul campetto dei gesuiti e alle aspre battaglie con il reggiseno di Lucia. Ma anche al gol mancato da Insigne a Udine, manco avesse tirato con un Super Santos. Pardon, con un Super Tele.





Gino Rivieccio



Napoli Magazine



Riproduzione del testo consentita previa citazione della fonte: www.napolimagazine.com


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NAPOLI - Se mi domandassero qual è il ricordo più immediato dell’adolescenza non avrei dubbi: le tette di Lucia, compagna di giochi nel quartiere dove abitavo. Lucia non era bella, anzi per molti rappresentava un modello fuori serie, un ritaglio per amatori, di quelli per i quali nessuno spasimerebbe mai. Piuttosto trascurata e anche un pò disordinata nel look nemmeno troppo femminile, indossava quasi sempre un jeans e un maglione rosso a collo alto. Sul viso, del trucco neanche l’ombra: anzi… l’ombretto. Ma aveva una caratteristica che negli adolescenti tuttora rappresenta il massimo: due enormi rotondità, non modellate dalle mani di nessun chirurgo che non ricordavo di aver visto in tutta Napoli e provincia. Due Super Santos, pallone in voga a quel tempo e sogno di tanti bambini ai primi calci. Questo ricordavo al sole della pasquetta dopo una frittatina di maccheroni e un rimasuglio di casatiello. Pensavo che il mio amore per questa memorabile sfera di colore arancione, probabilmente nasce grazie a Lucia che dopo qualche tempo nell’androne della scala fece scoprire al suo Renzo napoletano le prime gioie sessuali. Storiche, indimenticabili, eccitanti quanto quelle di questo pallone che ci faceva sentire piccoli Pelè, provetti Altafini o novelli Jair. Il SuperSantos all’epoca doveva superare la temibile concorrenza di un pericoloso rivale, il Super Tele, bianco con i pentagoni neri che imitava quello autentico di cuoio in uso sui veri campi di calcio. Ma il nostro beniamino, pur costando 50 lire in più, prevaleva per la compattezza e il peso, molto più consistente rispetto al super tele che nelle giornate perturbate diventava la disgrazia degli attaccanti e soprattutto dei portieri che si vedevano deviare la traiettoria da un’improvvisa folata di vento. Il Super Santos era impeccabile. Scoprimmo infatti che era perfettamente sferico a differenza del suo rivale che spesso si presentava con delle ingiustificate protuberanze che diventavano un alibi per i compagni di gioco al momento di un uno stop o di un rimbalzo. Il nostro eroe no. Non ti dava scampo. Persino leggermente sgonfio riusciva a dare soddisfazione sopravvivendo a spigoli acuminati, cancelli appuntiti e persino agli investimenti delle auto in corsa che dopo averlo strapazzato con le ruote anteriori fuggivano senza degnarsi del minimo soccorso. Più di una partita terminava con la sfera arancione afflosciata per via di un rovo di spine adiacente il campetto o di un condomino crudele che infastidito dalle continue pallonate, all’ennesimo tiro fuori bersaglio non esitava a infliggergli tre, quattro, cinque pugnalate. Dove io giocavo, il  terrore non era il portiere avversario, ma il portiere della scala A: Rocco, una specie di orco, un sadico bruto che noi avevamo battezzato RorcoL’assassino si illuminava solo quando riusciva ad appropriarsene e ad accoltellarlo con un cacciavite per poi ricacciarlo con un calcio verso il rettangolo che improvvisavamo tra fioriere e aiuole, con i portoni del palazzo prestati a fare da porta. Ma il glorioso Super Santos, pur gravemente ferito, agonizzante, prima di esalare l’ultimo respiro, sebbene arrancasse, non si arrendeva consentendoci ancora un’incursione sulla fascia o un cross a mezza altezza. Non rimbalzava più, non si sollevava troppo da terra, ma dall’alto della sua nobiltà, ci regalava ancora qualche minuto di gioia e uno sberleffo a Rorco, prima che l’urlo di una mamma che ci intimava di rientrare a studiare, ce lo facesse lanciare proditoriamente verso la strada dove, esanime, cessava il respiro tra le ruote di un auto e un marciapiede. E lì rimaneva anche per giorni. Ancora oggi quando lo vedo penzolante al gancio di un'edicola o di una drogheria, irretito nella sua fierezza, mi sdilinquisco ripensando alle mitiche sfide sul campetto dei gesuiti e alle aspre battaglie con il reggiseno di Lucia. Ma anche al gol mancato da Insigne a Udine, manco avesse tirato con un Super Santos. Pardon, con un Super Tele.





Gino Rivieccio



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