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MARADONA - La fotografa Eva Pardo: "Diego era meraviglioso, ho pianto tutto il pomeriggio dopo la sua morte, parlavamo tanto di Napoli"
24.11.2025 09:50 di Napoli Magazine
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Eva Pardo, fotoreporter del Gimnasia La Plata testimone degli ultimi mesi di vita di Diego Armando Maradona, ha rilasciato un'intervista a Fanpage:

Che ricordi hai del primo giorno di Diego al Gimnasia, quando gli scattasti una foto per la prima volta a Estancia Chica?
"Il primo giorno fu travolgente, pieno di emozioni. Ero piena di entusiasmo, non riuscivo a credere a ciò che stavo vivendo. La sua presentazione fu fatta durante un allenamento a porte aperte allo stadio Juan Carmelo Zerillo; lo vidi uscire dal tunnel, lì c’è un tunnel a forma di lupo, e non potevo crederci: il sogno stava diventando realtà".
 
Qualcuno ti avvertì in anticipo dicendoti: ‘Eva, oggi arriva Diego'?
"In realtà non avevamo alcuna conferma, lavoravamo su un possibile arrivo che poi si è avverato. Fu Diego poi, attraverso un video diffuso dai media, a confermare che sarebbe diventato l’allenatore del mio club. Provavo molte emozioni contrastanti: era un sogno conoscerlo e allo stesso tempo una grande responsabilità perché sarei stata io a occuparmi delle sue foto per il club".
 
Ti sei resa conto subito che stavi vivendo un pezzo di storia?
"No, la verità è che non ne sono mai stata pienamente consapevole, e ancora oggi faccio fatica a crederci. Pensavo che fosse un capitolo incredibile della nostra storia e l’ho sempre vissuto in senso collettivo. Le persone mi hanno fatto e continuano a farmi capire l’importanza del mio lavoro, ed è qualcosa di meraviglioso".
 
Com’era Maradona nella vita di tutti i giorni?
"Diego era meraviglioso, quando vedeva che gli stavo facendo una foto, mi sorrideva, mi faceva un gesto; rendeva il mio lavoro più semplice! La generosità che aveva con tutti noi del club era incredibile".
 
Ricordi la prima foto che gli scattasti?
"La prima foto che scattai fu durante quella presentazione allo stadio, c'erano centinaia di colleghi; poi nei giorni successivi, durante gli allenamenti, quando ero l’unica fotografa, se ne aveva voglia ci fermavamo a chiacchierare. Ricordo un pomeriggio in cui c’era suo nipote e mi chiese di scattargli delle foto. Fu Meraviglioso".
 
Che ricordi hai di quei momenti con Diego?
"Tutto. Non dimenticherò mai nulla. Una volta, dopo alcuni giorni in cui lui non c’era a causa di un problema politico nel club, quando tornò gli dissi: 'Per favore Diego, non te ne andare più, ho pianto per tutti questi giorni; ti voglio tanto bene'. E lui sorrise e mi rispose :'Abbiamo imparato a volerci bene'. Una frase che poi ho tatuato".
 
Hai avuto l'opportunità di fotografarlo anche fuori dal campo. Che personaggio emergeva lontano dai riflettori?
"Lui era uno di noi, un compagno eccezionale che si emozionava con le dimostrazioni di affetto che c’erano per lui in ogni stadio in cui andavamo. Questo mi sorprendeva molto, come se non sapesse che il popolo argentino lo amava. Io cercavo sempre di riflettere e scattare la sua felicità. Anche la sua emozione, tutto ciò che gli faceva bene".
 
C’era qualche rituale che era solito fare?
"No, non c’era qualcosa di particolare che ripeteva, ma incoraggiava molto il gruppo. E aveva le sue cábalas (superstizioni). Quando arrivò (al Gimnasia, ndr) ad esempio, si usava un abbigliamento di colore verde e chiese di toglierlo perché il verde non era un colore 'che portava bene'".
 
Sei stata tra le poche che gli ha scattato foto fino alla fine. Hai notato qualche cambiamento?
La pandemia ci ha separati per alcune settimane e quando l’ho rivisto era più magro, come se si vedesse più debole. E l’ultimo giorno, all’inizio della stagione, si notò ancora di più.
 
Il giorno del suo compleanno a La Plata, la sua ultima volta in campo: che atmosfera ricordi?
"Molto triste. Si vedeva che non stava bene. Quel giorno tutti dicevano che non sarebbe venuto, ma alla fine venne, anche se non riuscì a restare per tutta la partita".
 
C’è qualche scatto che hai fatto ma che non hai mai avuto la forza di pubblicare?
"Sì, sui miei social non ho mai pubblicato le foto della sua ultima partita. L’ho fatto per rispetto".
 
25 novembre 2020: il giorno della sua morte. Cosa ricordi?
"Tornavo dall’allenamento e in alcuni gruppi iniziavano già a scrivere qualcosa. Sono arrivata a casa, ho acceso la tv e non c’erano buone notizie. Decisi di spegnere tutto. Dopo due o tre ore poi scrissi a un amico giornalista: sapevo che mi avrebbe detto la verità e mi confermò il tutto. Non potevo crederci, gli dicevo di no, chiesi di verificare meglio. Ho pianto tutto il pomeriggio, fino a quando siamo andati allo stadio. Lì ci siamo ritrovati spontaneamente con i tifosi e abbiamo pianto insieme. Niente fu più come prima".
 
Ti parlava mai di Napoli?
"Sì, parlavamo tanto di Napoli. Io avevo visitato la città quando lui era al Gimnasia. Ora bisogna mantenere vivo il suo ricordo, il suo lascito: è la nostra responsabilità, per tutto ciò che ha fatto per i nostri popoli".
 
In Argentina e in Italia si è parlato molto della foto di Diego senza vita mostrata durante il processo, diventata poi virale.
"Grazie a Dio non l’ho vista. Perché penso sia una mancanza di rispetto e inutile, da parte di chi l’ha fatta e di chi la guarda o la condivide. Conta solo che si faccia giustizia. Nient’altro".
 
Il ricordo più dolce che hai di Diego?
"Con il figlio di Giannina, suo nipote Benjamin. Giocavano insieme, si buttavano per terra come due bambini. Una volta Benjamín gli tirò un rigore, lui si tuffò per pararlo e rimase impigliato nella rete della porta. Si moriva dal ridere".
 
Se potessi immaginarlo ora, ancora a Estancia Chica, cosa gli diresti?
"Grazie, ti amo".
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MARADONA - La fotografa Eva Pardo: "Diego era meraviglioso, ho pianto tutto il pomeriggio dopo la sua morte, parlavamo tanto di Napoli"

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24/11/2025 - 09:50

Eva Pardo, fotoreporter del Gimnasia La Plata testimone degli ultimi mesi di vita di Diego Armando Maradona, ha rilasciato un'intervista a Fanpage:

Che ricordi hai del primo giorno di Diego al Gimnasia, quando gli scattasti una foto per la prima volta a Estancia Chica?
"Il primo giorno fu travolgente, pieno di emozioni. Ero piena di entusiasmo, non riuscivo a credere a ciò che stavo vivendo. La sua presentazione fu fatta durante un allenamento a porte aperte allo stadio Juan Carmelo Zerillo; lo vidi uscire dal tunnel, lì c’è un tunnel a forma di lupo, e non potevo crederci: il sogno stava diventando realtà".
 
Qualcuno ti avvertì in anticipo dicendoti: ‘Eva, oggi arriva Diego'?
"In realtà non avevamo alcuna conferma, lavoravamo su un possibile arrivo che poi si è avverato. Fu Diego poi, attraverso un video diffuso dai media, a confermare che sarebbe diventato l’allenatore del mio club. Provavo molte emozioni contrastanti: era un sogno conoscerlo e allo stesso tempo una grande responsabilità perché sarei stata io a occuparmi delle sue foto per il club".
 
Ti sei resa conto subito che stavi vivendo un pezzo di storia?
"No, la verità è che non ne sono mai stata pienamente consapevole, e ancora oggi faccio fatica a crederci. Pensavo che fosse un capitolo incredibile della nostra storia e l’ho sempre vissuto in senso collettivo. Le persone mi hanno fatto e continuano a farmi capire l’importanza del mio lavoro, ed è qualcosa di meraviglioso".
 
Com’era Maradona nella vita di tutti i giorni?
"Diego era meraviglioso, quando vedeva che gli stavo facendo una foto, mi sorrideva, mi faceva un gesto; rendeva il mio lavoro più semplice! La generosità che aveva con tutti noi del club era incredibile".
 
Ricordi la prima foto che gli scattasti?
"La prima foto che scattai fu durante quella presentazione allo stadio, c'erano centinaia di colleghi; poi nei giorni successivi, durante gli allenamenti, quando ero l’unica fotografa, se ne aveva voglia ci fermavamo a chiacchierare. Ricordo un pomeriggio in cui c’era suo nipote e mi chiese di scattargli delle foto. Fu Meraviglioso".
 
Che ricordi hai di quei momenti con Diego?
"Tutto. Non dimenticherò mai nulla. Una volta, dopo alcuni giorni in cui lui non c’era a causa di un problema politico nel club, quando tornò gli dissi: 'Per favore Diego, non te ne andare più, ho pianto per tutti questi giorni; ti voglio tanto bene'. E lui sorrise e mi rispose :'Abbiamo imparato a volerci bene'. Una frase che poi ho tatuato".
 
Hai avuto l'opportunità di fotografarlo anche fuori dal campo. Che personaggio emergeva lontano dai riflettori?
"Lui era uno di noi, un compagno eccezionale che si emozionava con le dimostrazioni di affetto che c’erano per lui in ogni stadio in cui andavamo. Questo mi sorprendeva molto, come se non sapesse che il popolo argentino lo amava. Io cercavo sempre di riflettere e scattare la sua felicità. Anche la sua emozione, tutto ciò che gli faceva bene".
 
C’era qualche rituale che era solito fare?
"No, non c’era qualcosa di particolare che ripeteva, ma incoraggiava molto il gruppo. E aveva le sue cábalas (superstizioni). Quando arrivò (al Gimnasia, ndr) ad esempio, si usava un abbigliamento di colore verde e chiese di toglierlo perché il verde non era un colore 'che portava bene'".
 
Sei stata tra le poche che gli ha scattato foto fino alla fine. Hai notato qualche cambiamento?
La pandemia ci ha separati per alcune settimane e quando l’ho rivisto era più magro, come se si vedesse più debole. E l’ultimo giorno, all’inizio della stagione, si notò ancora di più.
 
Il giorno del suo compleanno a La Plata, la sua ultima volta in campo: che atmosfera ricordi?
"Molto triste. Si vedeva che non stava bene. Quel giorno tutti dicevano che non sarebbe venuto, ma alla fine venne, anche se non riuscì a restare per tutta la partita".
 
C’è qualche scatto che hai fatto ma che non hai mai avuto la forza di pubblicare?
"Sì, sui miei social non ho mai pubblicato le foto della sua ultima partita. L’ho fatto per rispetto".
 
25 novembre 2020: il giorno della sua morte. Cosa ricordi?
"Tornavo dall’allenamento e in alcuni gruppi iniziavano già a scrivere qualcosa. Sono arrivata a casa, ho acceso la tv e non c’erano buone notizie. Decisi di spegnere tutto. Dopo due o tre ore poi scrissi a un amico giornalista: sapevo che mi avrebbe detto la verità e mi confermò il tutto. Non potevo crederci, gli dicevo di no, chiesi di verificare meglio. Ho pianto tutto il pomeriggio, fino a quando siamo andati allo stadio. Lì ci siamo ritrovati spontaneamente con i tifosi e abbiamo pianto insieme. Niente fu più come prima".
 
Ti parlava mai di Napoli?
"Sì, parlavamo tanto di Napoli. Io avevo visitato la città quando lui era al Gimnasia. Ora bisogna mantenere vivo il suo ricordo, il suo lascito: è la nostra responsabilità, per tutto ciò che ha fatto per i nostri popoli".
 
In Argentina e in Italia si è parlato molto della foto di Diego senza vita mostrata durante il processo, diventata poi virale.
"Grazie a Dio non l’ho vista. Perché penso sia una mancanza di rispetto e inutile, da parte di chi l’ha fatta e di chi la guarda o la condivide. Conta solo che si faccia giustizia. Nient’altro".
 
Il ricordo più dolce che hai di Diego?
"Con il figlio di Giannina, suo nipote Benjamin. Giocavano insieme, si buttavano per terra come due bambini. Una volta Benjamín gli tirò un rigore, lui si tuffò per pararlo e rimase impigliato nella rete della porta. Si moriva dal ridere".
 
Se potessi immaginarlo ora, ancora a Estancia Chica, cosa gli diresti?
"Grazie, ti amo".